Serena Bortone, la carta Scurati non funziona: ascolti, "Che sarà" sconfitto da "Don Camillo"
Oibò ma siamo nel 2024 o nel 2001? Per chi si occupa professionalmente di campagne elettorali e messaggi politici, guardando a quello che è successo sabato, qualche dubbio che ci sia stato un salto indietro nel tempo nel mondo della politica italiana viene.
Tutto nasce da un post di Serena Bortone, conduttrice romana con un solido curriculum, va sottolineato, e simpatie di sinistra dichiarate, piazzato sui propri profili social alla stregua di un fucile caricato a pallettoni. La conduttrice di punta di Rai 3 sabato mattina ha denunciato un caso di presunta censura da parte dei vertici Rai. L’ex conduttrice di Agorà segnalava che il monologo dello storico Antonio Scurati non sarebbe andato in onda a Che sarà per effetto di pressioni politiche editoriali non ben specificate. La giornalista si è guardata bene dall’urlare al “fascismo”, ma nel criptico post allude a una giustificazione “negata” dai suoi superiori che avrebbero cassato l’intervento dello studioso senza tanti complimenti.
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IL DIBATTITO
Su social, tv, i siti di Repubblica e perfino del solitamente compassato Corriere della Sera, la denuncia della Bortone assurge a notizia di apertura per tutto il giorno. Al netto delle ragioni di Bortone (non è questo il punto) trattasi per chi si occupa di media di un colpo pubblicitario formidabile. Un poderoso lancio di marketing per un programma di nicchia che va in onda il sabato e la domenica e che ha potuto godere di un’improvvisa massiccia visibilità sia pure per effetto di un episodio, stando a chi ha reso pubblica la vicenda, spiacevole. La censura fa notizia, attrae, alimenta il dibattito, crea una “brand awarness” formidabile. In pochi secondi il caso occupa i social, in primis Facebook, e viene commentata per tutta la giornata. Si crea una bolla comunicativa senza precedenti che si autocondisce ricorrendo agli ingredienti ideali atti a infiammare una campagna elettorale: l’indignazione, l’anti-fascismo, l’anti-autoritarismo, la violenza cieca del potere politico.
La narrazione digitale segue un percorso praticamente univoco: “Telemeloni” ha compiuto un atto violento, fascista, contro la libertà di pensiero. A rincarare la dose ci pensa lo stesso scrittore Scurati che parla di prepotenza, violenza, prevaricazione. L’agenda politica viene capovolta dalla bolla posticcia: guerra in Medio Oriente, vertici di partito per decidere le candidature alle Europee, statements dall’impatto planetario di Biden o Netanyahu per non parlare delle imminenti elezioni in Basilicata ignorate da tutti, finiscono nell’angolo. Passata la nuttata entrano in ballo i grossi player della pubblicita. I talmudisti dei numeri, freddi, calcolatori che - dopo 24 ore di roventi polemiche riportano tutto alla cruda realtà. Visto l’enorme can- can dalle parti dei big players della pubblicità ci si aspettava il botto.
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Dato l’enorme traino pubblicitario derivato anche dal sostegno di tutti i principali tg serali che al caso hanno dato ampio risalto. La Bortone farà l’8 di share ? No vedrai che arriverà al 10. Il giorno dopo arriva il verdetto dell’Auditel. E i numeri parlano da soli. Il format della Bortone rispetto al sabato precedente incrementa di un magro punto e mezzo di share per un netto di 320mila teste e non va oltre il 4.9. Si registra un incremento ma non è nemmeno sufficiente per battere il rivale Gramellini in onda su La7 che arriva al 6%. Anche gli afficionados di Don Camillo superano il 6% di share, incuranti del terremoto politico mediatico. Sul piano meramente numerico una delusione - commentano i media planner - off the record. Messo in conto l’enorme ritorno in termini di marketing, i centri media si aspettavano decisamente qualcosa in più considerato anche il traino mostruoso dei tg serali come Tg1 e Tg3 che sulla notizia ci hanno addirittura aperto.
FASCE DI ETÀ
Anche il target di pubblico “trascinato” dalla polemica e che ha determinato il risicato balzo di “Chesarà...” è eloquente: trattasi per lo più di over 65 enni (8% di share), 55/64 anni (7.5%) e 35/54 anni (5%), in linea col profilo “main” della Terza Rete. Nessun particolare sussulto sociologico. Tagliati fuori gli under 25 che Telekabul non la guardano da anni, e questo non certo per colpa della Bortone, preferendogli di gran lunga Italia1 e i vari canali alla Netflix. Si obietterà che una vicenda che ha varcato i confini nazionali non si possa valutare solo dagli stitici numeri dell’Auditel. Ci sta. Ma il caso della censura del monologo di Scurati ha il sapore di un déjà vu che ci riporta indietro di 23 anni. Allora i protagonisti dello scandalo “comunicativo” furono il comico Daniele Luttazzi, Marco Travaglio e il programma “Satyricon” una cui fatidica puntata fu dedicata a Berlusconi e ai suoi mai dimostrati in sede processuale rapporti con la mafia. Prese forma una bolla comunicativa molto simile ancorché alimentata da dinamiche differenti (i social non esistevano), indignazione della stampa estera inclusa. Anche allora in molti si aspettavano un formidabile indotto elettorale. Che però non ci fu. Anche allora Don Camillo ebbe la meglio.