Silvio Berlusconi meglio di "The Crown": perché la serie su Netflix è imperdibile
Sei una bella figa! Il suo vero scudetto. Glielo gridò un giorno un tifoso del Milan, sulle rive dell’Adda. E s’è capito, s’era già capito e si capisce assai meglio ora che su Netflix arriva il documentario “Il giovane Berlusconi”, che se pure non abbiamo la Corona, noi, non importa. Avremo sempre lui: il Cavaliere. E se mai ci sarà un “The Crown”, qui, al paese nostro, se mai ci sarà un’epopea dopo millemila libri, articoli, film, primi passi, sarà certo su di lui.
Ed ecco le tre puntate. Ecco la miniserie di Simone Manetti (invero miniera di reperti e racconti) che, dopo il testamento e le lacrime di Marina, segna un altro passo in direzione dell’epica... Niente (o quasi) che non sapessimo, eppure tutto che brilla e scintilla. E sono appunto immagini epiche. Letteralmente. Come quella del Concorde da cui sbucano bellissime ragazze sugli schermi francesi – s’era appena fatta “La Cinq” – o quella della pubblicità venduta all’Unione Sovietica nell’88, con logo d’Italia e URSS suggellato dalla scritta: Publitalia ’80. Per non dire ancora del Milan: di quando il Cavaliere scese in campo con l’elicottero sulle note di Richard Wagner (la Cavalcata delle Valchirie!) Ed ecco. È anzitutto Silvio lo Stregatto. E cioè il felino che ci sorride e sgomina Achille Occhetto con una spilla brillante sulla giacca (una spilla che ha ipnotizzato l’Italia, dice Pino Corrias).
Ed è poi Silvio il “Creatore di stelle”. Che come in un racconto satirico di Mordecai Richler orchestra la campagna elettorale insieme a Raimondo Vianello, Gianfranco Funari, Mike Bongiorno e tutto il firmamento Mediaset. Ed è ancora lui. Il pifferaio magico. Il pifferaio dei puffi e – manco a dirlo – delle puffette.
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AMICI ED ESPERTI
A raccontarlo, pochi mesi prima della morte (riprese e montaggio della serie avvengono fra 2022 e 23), ci sono gli amici e gli esperti. Da Adriano Galliani, Vittorio Dotti, Dario Rivolta e Marcello Dell’Utri – che «sta a Berlusconi come San Paolo a Cristo», dirà Fedele Confalonieri – sino a Giovanni Minoli, Carlo Freccero, Fatma Ruffini, Gigi Moncalvo... Stefania Craxi e Iva Zanicchi. E ancora: Anne Sinclaire – la giornalista ed ex moglie di Dominique Strauss-Kahn – e Jack Lang, ministro della cultura francese al tempo in cui il Nostro riuscì a sedurre Mitterand esportando Mediaset.
Tutti a commentare immagini di grandeur. L’ascesa del mattone e poi il “pizzone”. E cioè la famigerata videocassetta che consentì di trasmettere sul territorio nazionale «non in diretta ma in contemporanea» – cit. Mike Bongiorno – tutti i programmi che conosciamo. E quindi Dallas il martedì ei Puffi a ora di pranzo («Aveva capito che era un modo per far stare i bambini seduti a tavola», spiega Freccero). Con tutto il seguito d’una tivù americana – e nondimeno alle vongole – che quando nell’84 «per ordine del pretore» fu oscurata in quattro regioni, sortì l’effetto «rivolta dei puffi».
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BAMBINI IN PIAZZA
E cioè tutti i bambini in piazza, intervistati dalla Rai, a protestare e reclamare Puffetta (caso-studio, questo, che forse sarebbe piaciuto a un filosofo come Robert Nozick. Uno che magari, sul calco del “paradosso-Chamberlain”, avrebbe coniato il “paradosso-Puffetta”, e cioè: i puffi sono immorali? La tivù commerciale è immorale? Sì, no, forse. Boh. In ogni caso, come ci sarà sempre qualcuno che pagherà per vedere giocare a basket Wilt Chamberlain – anche se Wilt è immoralmente più ricco di chi lo vede giocare – così ci sarà sempre un bambino che s’innamorerà di Puffetta, di quella tivù ricca e sfacciatamente immorale. E tutto per la gioia d’una mamma – chissà, di Voghera – che ora lo tiene seduto a tavola).
Così, dai Puffi al Milan, sarebbe stato sceicco in Arabia, dice di sé Berlusconi. «Sceicco in Arabia; Berluscón a Treviso; Berlushcone a Napoli». In un vortice di voluttà, sarebbe stato insomma quello che è stato. E cioè l’uomo che segnava in agenda le date di compleanno dei clienti (e delle mogli dei clienti; e dei figli, delle amanti, delle segretarie). L’uomo che corteggiava le donne non meno di Mike Bongiorno. E che – racconta ancora Carlo Momigliano, l’ex dirigente di Publitalia – alla fine d’ogni riunione inseriva un dettaglio, sia pur marginale, nel piano d’azione: una parolina, e cioè una piccola parte del suggerimento d’ogni singolo dipendente, acciocché tutti credessero che il piano d’azione fosse opera loro.
Ed è insomma l’unico che – spirato – può ispirare un’epopea pari o superiore a “The Crown”. Un’epica italiana, e perciò stesso provinciale, con accenti soap e colonna sonora d’Aznavour. Anche perché – sempre a proposito di epopee – fra le dinastie del paese nostro è solo lui che, ricco, ricco e ancora ricco – alla faccia dei Puffi e dell’immoralismo – non lascia strascichi con gli eredi. E li fa tutti felici.
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