Pippo Franco, la rivelazione: "A cosa mi ha portato la fede nella Madonna"
C’è bisogno di un ritorno alla poesia e all’arte perché i teatri, compreso l’amato Salone Margherita di Roma, possano riaprire davvero. E se la Rai nello show per i 70 anni condotto da Massimo Giletti si è dimenticata del Bagaglino «non è un problema che ci riguarda. Io non mi sono sentito messo da parte né dimenticato, fa parte della vita...». È un Pippo Franco vagamente malinconico ma speranzoso nel contempo quello che intercettiamo all’imbrunire di un piovoso venerdì di fine inverno.. L’artista sembra confidare molto nella forza della fede e dell’interiorità. Vola alto il conduttore romano, cabarettista cantante oggi alla soglia degli 84 anni. Pippo Franco è stato l’iconico volto del Bagaglino per quasi un quarto di secolo. «Di sicuro – graffia un po’ – gli ascolti che abbiamo fatto noi per 23 anni ora non si fanno più...». E questo è un dato di fatto oggettivo.
Ma il cabaret teatrale in televisione secondo lei può funzionare ancora?
«Francamente il mondo di oggi è molto diverso da quello di ieri. Noi allora interpretavamo il nostro tempo in totale libertà, senza prendere posizioni, a destra o sinistra. Mettevamo in risalto i paradossi della vita, dell’esistenza e anche della storia dell’uomo se vogliamo. Oggi questa tendenza non c’è più. La nazione non è più poetica come una volta. Noi ci rifacevamo a quell’ironia che serviva a esorcizzare il dramma. Oggi si vive una vita molto più superficiale. I contenuti non sono più un elemento sostanziale della comunicazione televisiva. Si vive di aperitivi, oramai. C’è più un’intesa a divertire senza troppo approfondire la realtà».
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Sta seguendo anche lei, immagino, la battaglia per la riapertura del Salone Margherita. Pingitore riuscirà nell’impresa?
«Siamo sullo stesso fronte. Abbiamo fatto pure qualche incontro. Si tratta di un locale storico dall’epoca di Petrolini. Sarebbe un peccato non riattivarlo. Purtroppo è una tendenza di oggi. A conferma di quanto dicevo prima, molti teatri sono chiusi. Roma sembra una Detroit abbandonata. La gente non va più in teatro, ma neanche al cinema. Il mondo di oggi vive di altre cose: social e altre forme di comunicazione. Il Bagaglino fa parte di questo abbandono in qualche modo... Se si ripristinerà, sarà un modo per difendere un po’ la nostra storia. Anche più di un po’ direi... Ripeto, spero torni presto il momento in cui la nazione sarà nuovamente poetica e riscopra, oltre ai teatri, anche gallerie d’arte che non ci sono più o sono completamente dimenticate. Però avverto che il pubblico ha necessità e desiderio di partecipare e tornare a vedere i contenuti più profondi della vita».
Però scusi sembra un po’ un paradosso. Quindi a mancare sono anche le proposte oltre all’attenzione del pubblico?
«Sì e le spiego perché. Facendo le serate di piazza con un pubblico indistinto, come quello della televisione, che va dai contadini agli scienziati, ti accorgi che, se non dai i contenuti, dopo un quarto d’ora la piazza si svuota. Sono quindi certamente i contenuti che parlano direttamente all’inconscio che dialogano con gli esseri umani».
Parlava della magia perduta delle gallerie d’arte. In pochi sanno che lei è stato allievo di Renato Guttuso al liceo artistico.
«Guttuso in realtà veniva poche volte a scuola, però ne ho frequentati molti altri di artisti. Da Giulio Turcato che era mio professore. Sono stato vicino a Mario Schifano, Franco Angeli, Tano Festa. Insieme a loro ho vissuto un’epoca meravigliosa. Oggi tutto questo non c’è più ma loro esistono sempre perché la storia dell’arte non si può dimenticare e tornerà presente. Anche perché siamo il Paese che ha l’ 80% dell’arte del mondo».
Ci racconti l’aneddoto più bello in tanti annidi Bagaglino. Da voi sono passati tutti i più grandi protagonisti della politica e non solo. Quale il ricordo più bello?
«Andreotti fu insuperabile. Aveva un senso dell’ironia che sembrava davvero uno dei nostri. Poi anticipammo l’era dei sosia con Craxi. Lo prendemmo praticamente uguale. Indubbiamente quella fu un’epoca molto movimentata, ricca di sorprese, invenzioni che resta indimenticabile ed è incredibile come è rimasta nell’animo delle persone. Per dirle, la popolarità di solito diminuisce con l’andare del tempo. Invece la quantità di selfie che mi chiedono adesso per la strada è inimmaginabile».
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A proposito di questo. Il suo successo è indubbiamente legato anche al suo naso. Non si sente colpito da quello che oggi il politicamente corretto chiama body shaming?
«Ma no. È tutto quanto un gioco...Sotto molti profili senza senso. Il nostro volto è quello che abbiamo. È la parte esterna di una vita interiore. Non ho mi dato valore alla vita esteriore né mai pensato di vivere o cercato di piacere al pubblico. È il pubblico, semmai, che deve piacere a me e io devo essere bravo a far capire in profondità tutto quello che ho da dire...».
Secondo lei le somiglia di più Elly Schlein o il calciatore dell’Inter Mikytaryan?
«Paradossalmente vi sono molte persone che mi somigliano. Anche storicamente. Se pensiamo anche a Dante Alighieri ahi voglia a trovare somiglianze! (Ride) Certo, mi piacerebbe essere un poeta come Dante Alighieri ma questo conferma, basta leggerlo, per capire come tutto sommato la parte esteriore non ha nessun senso rispetto a quella interiore perché è dall’anima che poi viene fuori la nostra essenza».
Dalle sua parole emerge anche una fede molto forte. È particolarmente devoto alla Madonna di Medjugorie è vero?
«Beh non solo Medjugorie. Nel 2012 con Rita Coruzzi, una scrittrice ho scritto un libro intitolato La morte non esiste. La fede nella Madonna mi ha portato a viaggiare un po’ in tutto il mondo: da Lourdes a Guadalupe. Ho partecipato a incontri e convegni anche con 20mila persone. Un tragitto che ho amato fare e nel quale mi identifico pienamente».
Tornando allo spettacolo, da Fantastico a Sanremo. Lei ha scritto e cantato pezzi divenuti sigla del Festival di Sanremo. Che ricordi ha di quegli anni?
«Ho partecipato credo otto volte come umorista e come cantante non in concorso Che fico fu la sigla di un Sanremo col quale abbiamo anticipato un lessico che allora non era ancora di moda. Indubbiamente ne sono capitate molte...».
Il Festival di oggi lo segue?
«È completamente diverso da quello di allora. Tiene presente la soglia d’attenzione del pubblico attuale e fa riferimento a aspetti della modernità che lo rendono ancora indiscutibilmente di grande successo. Tanto da essere ancora un punto di riferimento».
Negli ultimissimi anni, nel periodo del Covid, si è trovato al centro di polemiche tra no vax e green pass. Come ha vissuto quella fase drammatica per tutti gli italiani?
«Ho fatto semplicemente quello che ho pensato di fare. Non ho da aggiungere altro. Le cose vanno per conto loro, soprattutto le chiacchiere. Pensi a quante volte mi hanno addirittura fatto morire su Wikipedia...».
Parlavamo degli spettacoli di piazza che ancora conduce. Di cosa tratta questo suo grande viaggio?
«Parlo di arte collegata alla spiegazione della realtà invisibile. Con me c’è anche il grande chitarrista Giandomenico Anellino. E riscuotiamo un successo molto forte che all’inizio, non credevo».
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