Dargen D'Amico va da Floris e detta la linea al Pd
Partiamo da un’agenzia che pare un concentrato di surrealismo: «A Di Martedì ospiti Dar gen D’Amico e Pier Ferdinando Casini» (non sappiamo se in rigoroso ordine di peso politico).
Che più o meno sarebbe come dire «ospiti Eminem e Fanfani», a voler sopravvalutare entrambi i nomi. Ma è perfettamente normale, non ce l’abbiamo con i colleghi di La7, che anzi colgono fino in fondo lo spirito del tempo. Perché Dargen D’Amico è ufficialmente, oggettivamente, irreversibilmente un leader politico-ideologico, un punto di riferimento per la gauche contemporanea, ipermovimentista, arcobaleno, luogocomunista più che comunista vecchio stile. Un’incoronazione che è stata plasticamente evidente col monologo abbozzato a Domenica In, a colpi di banalità piacione come «quello che gli immigrati immettono nelle nostre casse per pagare le nostre pensioni è più di quello che spendiamo per l’accoglienza». Non è più la sinistra che detta l’alfabeto culturale e impone gramscianamente l’egemonia, è la sinistra che subisce l’egemonia delle occupazioni liceali e se ne fa megafono (più o meno) stiloso. È il lavoro che prova a fare anche Elly Schlein, che però è largamente più inverosimile e meno efficace di Dargen D’Amico, che magari l’armocromista ce l’ha, ma si guarda bene dal dirlo.
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E quindi stasera Jacopo Matteo Luca (che è il vero nome di Dargen, ma non funzionava per la costruzione di un influencer, poteva andare bene per quella figura polverosa che era il cantautore con delle cose da dire) interverrà in un programma che ha in scaletta «il caso Navalny», «i contrasti all’interno della maggioranza e delle opposizioni sulle riforme dal premierato all’autonomia differenziata», «le previsioni di crescita per il 2024». Tutti argomenti di cui Dargen è uno dei massimi esperti nazionali, ironizzerete, dimostrando di non avere capito. Il punto non è la visione del mondo, il punto è la visualizzazione su Instagram e su Tic Toc. E su questo fronte la nouvelle vague canora sbaraglia, disintermedia, parla come i giovani, prima ancora che ai giovani, e si candida naturalmente a involontaria avanguardia ideologica di questa postideologia fluida, sincopata, che non cerca nemmeno più lo slogan (quello è ancora roba da anni Novanta, da Publitalia) ma la battuta ri-postabile. Prendete il caso dell’altro maître a penser emerso dal guazzabuglio sanremese, il Ghali già mattatore nel salotto di Fazio. Con quello «stop al genocidio» astratto, indifferenziato, totalmente vuoto da un punto di vista storico e valoriale (cos’è un genocidio, chi lo sta eventualmente praticando, quali sono i modelli di civiltà in gioco in Medio Oriente...), quindi perfetto per finire in tendenza, ha dato voce al finto ribellismo anti-israeliano, terzomondista e gruppettaro, molto meglio del Pd schleiniano e dei cascami sinistri vari, da Fratoianni a Santoro, che provano da mesi a intercettare quel pubblico. Perché costoro sono sempre un passo indietro: il pubblico non va intercettato, bisogna fondersi con esso.
E non a caso Ghali continua a moltiplicare i propri concerti e ad aggiungere date su date. Dopo l’annuncio dei due concerti al Forum di Assago, in programma il 28 e 29 ottobre (e ovviamente già sold out), ieri per celebrare il Disco d’Oro si sono aggiunti tre nuovi appuntamenti: il 4 novembre a Firenze, il 6 novembre a Roma, il 10 novembre a Bologna. Nel frattempo, il nostro (o meglio, il loro) continua a spopolare su Spotify, un luogo che al Largo del Nazareno probabilmente conoscono a stento. È il cursus honorum perfetto per chi vuole parlare al “campo largo”, il clic invece della sezione, la vittoria, in fondo, di Gianroberto Casaleggio su Antonio Gramsci. E Ghali allora può assicurare, davanti al reggi-microfono Fazio (“intervistatore” sarebbe oggettivamente un po’ troppo), che spera di «riuscire a cambiare le cose». Quali? Nessuno lo sa, ma nessuno sa nemmeno cosa intenda la Schlein quando sproloquia di «cicli positivi dell’economia circolare». La differenza è che «cambiare le cose» suona bene, si può mettere nella biografia su X, si può ripetere senza incartarsi. Non c’è partita, non è uno scenario futuribile, è lo stato dell’arte (si fa per dire) della sinistra italiana oggi. Sono solo canzonette. Quindi, molto più dell’attuale proposta politica del Pd.
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