Beatrice Venezi, l'ineleganza di Repubblica: criticarla va bene, ma il tono è sbagliato
Non sappiamo leggere la partitura della estenuante querelle del momento. Onestamente, noi non abbiamo le competenze tecniche per giudicare se Beatrice Venezi abbia o no il talento di Von Karajan (probabilmente no) o soltanto quello delle colleghe Speranza Scappucci o Oksana Lyniv. Né sappiamo se la superconsigliera musicale del Ministero della Cultura sarà in grado, questo week end a Palermo, dal podio di direttore dell’Orchestra Sinfonica Siciliana, di illuminare, con arabeschi disegnati nell’aria dalla sua bacchetta, due esecuzioni pregiate: quelli della Sinfonia n. 6 in si minore op. 74 Patetica di N Ciajkovskije della Sinfonia n. 6 in si minore op. 54 di Šostakovic. «Sono due pezzi di una straordinaria bellezza e di straordinaria difficoltà, al cui approccio serve anche molto coraggio...», osserva Nazzareno Carusi, grande pianista e fine manager musicale, al cui giudizio ciecamente ci affidiamo. Ergo, non avendo la strumentazione culturale adatta, non siamo neppure in grado di capire se gli 87 musicisti che Venezi dirigerà la applaudiranno o le daranno dell’ «incompetente» come è avvenuto con tre loro polemici colleghi orchestrali («i suoi gesti non sono coordinati alla partitura»).
Tre. Tre professori inferociti. Tre su settanta, che hanno parlato –a detta della Fondazione- a titolo personale. Ma ci sta. Ma, insomma, no. Su questo secondo appuntamento della Venezi col pubblico ossessivo e altamente professionale della classica noi non riusciamo a cucire alcun giudizio, ne’ di sostegno, né di smentita. E, ovvio, anche l’ennesimo articolo della collega Leonetta Bentivoglio sulle pagine di Repubblica contro Venezi ci risulta musicalmente inattaccabile. Ma non è il contetuto in sè, ciò che spiazza. Semmai, quello che stupisce è il tono. Il tono del pezzo è urticante, doloso, illivorito. Ed è -diciamolo- carsicamente sessista: qui come altrove emerge, ad intervalli regolari, tra le pieghe della critica, dalle profondità dei tecnicismi, un fiume in piena gonfio di lividi argomenti. Sempre gli stessi, peraltro: «Venezi è figlia di un politico neofascista di Forza Nuova», «Venezi è amica personale di Giorgia Meloni», «Venezi è consigliere raccomandato del ministro della Cultura che in sua difesa attacca perfino l’imitatrice Virginia Raffaele» (che poi non andò esattamente così, ma transeat), «Venezi è una bella donna che sa capitalizzare la sua bellezza».
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Tra l’altro, ora se n’è aggiunto un altro, di argomento: «Si avverte (in Venezi,ndr) l’incongruenza di una signora che per un verso dichiara di lottare per l’equivalenza dei generi in ogni ambito (il riferimento all’appellativo di «direttore» al maschile, da lei richiesto, ndr) e, per un altro, offre il suo corpo da sirena alla pubblicità di Bioscalin, la cui didascalia recita “tira fuori il tuo lato Bioscalin”, con la B evidenziata», scrive Bentivoglio. A cui, qui, un po’ scappa la frizione. Non capiamo, sinceramente. A parte il fatto Nilde Iotti fu la prima a pretendere il titolo, istituzionalissimo, di «presidente»; be’, davvero il fatto di essere avvenenti e costruire del marketing su se stesse risulterebbe incompatibile con la volontà del rispetto della parità di genere? Dài. A sentirlo sembra assai inelegante. Siamo al sessismo carsico, per l’appunto. E qua urge evocare il collega Massimo Gramellini. Quando su La Stampa, con grande onestà prendeva atto che gli attacchi a Beatrice Venezi non provocarono «una levata di scudi in sua difesa, come invece sarebbe accaduto se a essere attaccata sul piano della professionalità, addirittura della legittimità a occupare un ruolo di comando, fosse stata una qualunque altra donna non schierata politicamente da una certa parte, cioè a destra. Tutti, magari sbagliando, avrebbero interpretato le parole degli orchestrali come un inaccettabile attacco sessista a una musicista che ha il grave difetto di essere femmina, per di più giovane e fotogenica». Giusto. Tra l’altro ,Venezi sta dimostrando abilità anche come organizzatrice. Il sospetto è che, qui, l’affiliazione politica, qui, tenda a prevalere sul contenuto professionale e sul libero diritto a criticarlo. Siamo, naturalmente in attesa di Ciajkovskij e di Šostakovic e delle note, e delle parole che voleranno attorno...
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