Enrico Ruggeri, la lezione: "Elodie? Loro neanche un ginocchio..."
Enrico Ruggeri continua il suo viaggio nelle vite dei cantautori suoi predecessori. Lo fa con Gli occhi del musicista, appuntamento settimanale in onda il martedì in seconda serata su Rai 2.
Una trasmissione invernale. Di riflessione e d’ascolto ma anche capace di slanci possibili. «Un laboratorio da tenere aperto» per dirla con le parole del conduttore-cantautore che torna a parlare con Libero a qualche mese dall’ultimo incontro nel quale aveva espresso un punto di vista critico sulla precedente gestione della Rai e più in generale sulla sinistra.
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Ruggeri, a primavera ci aveva detto che la sinistra e un po’ la Rai di allora parlava solo a chi viveva dentro la ztl, cioè alle élite. I sei cantautori che racconta ne Gli occhi del musicista in che zone della città li collocherebbe?
«Un po’ in tutte in realtà. Califano, lo stesso Bertoli che era il più collocato a sinistra erano persone che avevano poetica tale che li rendeva superiori capaci di guardare in tutte le direzioni cogliendo vari aspetti. Il fatto che conosciamo ancora a memoria le loro canzoni la dice lunga».
Non c’è un po’ il rischio che, parlando di tutti artisti scomparsi, lei stesso cantautore tenda a fare un po’ il santino dei suoi colleghi che hanno scritto e cantato prima di lei?
«Spero di no. Il mio obiettivo è raccontare le vite, non le morti dei cantautori, a parte Tenco per ovvie ragioni. Racconto storie di grandi personaggi e canto le loro canzoni assieme agli ospiti. D’altra parte non ci sono più nemmeno Ghandi, Napoleone o Giulio Cesare. Quello che conta di più è ricordarli, studiarli e per i cantautori continuare a cantare le loro canzoni».
Rispetterà il politically correct? Califano che è tra i cantautori di cui parlerà non lo rispettava moltissimo per dire...
«Pensi però alle sue canzoni più belle, quelle immortali: La mia libertà, Tutto il resto è noia, Minuetto che scrisse per Mia Martini. Sono tutti brani che vanno veramente al di là del tempo e dello spazio. Questo perché la poetica vera non è collocabile da nessuna parte».
Eppure ci sono grandi artisti come Toto Cutugno, snobbato in vita e pure tanto. Lei come ricorderà Toto?
«L’ho voluto includere proprio perché è stato snobbato. Di sicuro all’estero era più considerato che in Italia. In Francia è stato sempre considerato un grandissimo compositore. Il suo pezzo più famoso, L’italiano, si può considerare un vice-inno nazionale. Il mese scorso ero a New York e mi sono reso conto ancora una volta di come sia quasi più conosciuto L’Italiano che Fratelli d’Italia... È un inno nazionale per acclamazione».
I dati di ascolto della trasmissione la stanno soddisfacendo o va avanti senza guardarli?
«È chiaro che non è un programma fatto per acchiappare super ascolti. Sono sincero, spero che salgano un po’... Però parliamo comunque di un programma di seconda serata, scritto con un linguaggio diverso che tratta temi importanti, forse più pesanti per cui ci vuole un po’ più di tempo ad abituare il pubblico. Però credo sia un programma che possa avere un futuro. Un laboratorio che rimane aperto».
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La Rai di oggi le pare più pluralista oppure ritiene che ci siano meno voci rispetto al passato?
«In Rai come a Mediaset c’è gente che arriva e se ne va anche in base a offerte economiche e aspettative professionali. Shakespeare direbbe che si è fatto molto rumore per nulla. Per quanto mi riguarda, io ho proposto una narrazione diversa che è stata accolta per cui sono contento».
È appena andato in scena Sanremo Giovani, due mesi prima del Festival dei big. Cosa rappresenta secondo lei per i ragazzi. Più o meno di un talent?
«Mi sembra qualcosa di più. Anche perché nell’ultimo X Factor si è parlato di tutto tranne che dei cantanti... Spero che i ragazzi che hanno partecipato riescano ad attirare più interesse su di loro. Tenendo conto che la vita di un cantante è fatto di centinaia di piccole partite. Non c’è subito la finale. Chiaramente meglio fare dei passi avanti che non farli...».
Recentemente, però, citando Gaber e parlando proprio dei giovani, ha detto che oggi molti preferiscono passare alla cassa più che passare alla storia. Davvero vede questo rischio?
«È più che altro lo specchio di tempi nei quali il denaro è diventato una qualità morale. Oggi un cantante che discute con un altro cantante gli dice: io ho venduto più dischi di te che di per sé non vuol dire nulla. Anche perché il peso di un cantante si misura quarant’anni dopo qualcuno conosce le sue canzoni».
A proposito di talenti e altre qualità anatomiche... Si è fatto un’idea sul dissing tra Elodie e Gino Paoli?
«Ti posso solo dire che, nel mondo della musica, le due donne che considero più sexy sono: Nico che era la cantante dei Velvet Underground e Debbie Harry, la cantante dei Blondie. In entrambi i casi queste avevano un tale sex appeal che non avevano bisogno di mostrare nemmeno le ginocchia. Virna Lisi non ricordo di averla mai vista nuda, eppure me la ricordo come un’icona erotica...».