Gino Paoli, "caz***te": uno schiaffo a comunisti e sinistra
L’autore di questo articolo, sia chiaro, è di parte. Ha un’ammirazione per Gino Paoli che va oltre la musica e abbraccia il suo profondo senso dell’amicizia, la propensione al rischio e a pagare in prima persona i propri errori. Termina qui il veloce preambolo personale ma necessario di Cosa farò da grande (Bompiani, € 22,00, p. 302), il libro autobiografico di Gino Paoli scritto a quattro mani con Daniele Bresciani.
L’artista nato a Monfalcone nel 1934, ma adottato da Genova, fino a diventare figlio di quella terra, si racconta senza veli negli aspetti più privati, offrendo un volto inedito di sé, spesso ignorato da chi è rimasto fermo alla cronaca che generalmente i media riservano ai personaggi più popolari dello spettacolo. Non che nel libro Paoli non parli di canzoni. Solo che le canzoni non sono al centro di questa narrazione ma fanno da corona alla vita e scandiscono come in un calendario umorale i giorni vissuti seguendo spesso più l’istinto che la ragione.
Paoli non ama la scuola, ha un pessimo rapporto con gli insegnanti. Passa da un collegio all’altro. È un ribelle, ma ha il senso della giustizia e della lealtà. Non subisce come gli altri, reagisce; talvolta con ragione, altre con indisciplina. Soprattutto non ha paura, è disposto a fare a botte e, se è il caso, a picchiare forte e picchiare per primo. Il suo vangelo è il codice della strada. A diciott’anni va via da casa con l’intenzione di fare il pittore e una vita da bohémien. Per mantenersi lavora come grafico nonostante i primi guadagni e successi musicali.
VITA SPERICOLATA
Ama la musica jazz e una vita “spericolata”, le auto veloci e costose, le donne. Predilige Puccini perché la sua melodia buca tutte le nostre difese. D’Annunzio, Caproni e Sanguineti sono i suoi poeti preferiti. Nel 1960 incide tre canzoni riuscitissime, La gatta, Sassi, Il cielo in una stanza; nel 1963 replica quei successi con Che cosa c’è, Sapore di sale e Senza fine. L’esordio è insomma sfolgorante, anche se, come in molti casi, la musica nuova fa sempre fatica ad affermarsi. La gatta, per esempio, vendette alla sua uscita il misero numero di 119 copie. Sono questi i suoi classici che in genere si ricordano, ma Paoli ha scritto tanti altri brani indimenticabili come Ti lascio una canzone, Se Dio ti dà, Vivere ancora, 67 parole d’amore, Una lunga storia d’amore e tante altre. Ci sono album preziosi come Le due facce dell’amore, Amare per vivere, Il mio mestiere, Ti ricordi? No, non mi ricordo con Ornella Vanoni. Paoli è un precursore. Il primo live della musica italiana è del 1965, ed è suo. Con altri autori della sua generazione come Endrigo, Tenco, Lauzi, De André e Bindi, la canzone diventa una forma d’arte.
Ma esiste anche il Paoli del tentativo di suicidio al culmine del successo nel 1963. «Io, in quel momento, avevo tutto. Successo. Soldi. Ma non sentivo più niente». Per caso o per destino la pallottola della Derringer calibro 5, non colpisce il suo cuore. È ancora conficcata nel suo corpo che, nonostante alcol e sigarette, continua a respirare. Non manca un Paoli talent scout che produce Lucio Dalla e che fonda un’etichetta discografica dal catalogo d’oro con nomi non ancora sulla cresta dell’onda come David Bowie, i Bee Gees, i Cream di Eric Clapton, Cat Stevens, i Jethro Tull e i Pink Floyd. Non vana è la sua attività d’imprenditore nel periodo in cui smette di cantare. A Levanto gestisce un locale che ha la fama di essere stato negli anni trenta un casinò voluto da Mussolini. Di lì passano Battisti, Lauzi, Gaber e Jannacci. Ma non tutte le sue intuizioni godono di fortuna. I due ristoranti aperti a Lampedusa e a Firenze segnano due suoi fallimenti. Anche la discesa in campo come politico non si rivela una scelta azzeccata. Eletto nel 1987 nelle file del PCI, anziché andare allo spettacolo e alla cultura, con suo grande stupore e disappunto viene dirottato ai trasporti. Nelle aule parlamentari si rende conto di non essere adatto all’arte del compromesso. In veste di presidente della Siae le cose non vanno meglio. Deciso a fare qualcosa per i giovani, viene travolto da uno scandalo poi risoltosi in una bolla di sapone.
LA POLITICA PAOLI
Con spirito tranchant sostiene che cantare negli anni sessanta le canzoni politiche o “Viva il Comunismo” nelle Feste dell’Unità fu una “cazzata”. Semmai andavano cantate davanti alle sedi politiche della parte politicamente avversa. Pur vantando una solida amicizia con Beppe Grillo, considera un errore aver consegnato l’Italia nelle mani del Movimento 5 stelle, formato da “piccoli uomini” senza esperienza, che non si sono dimostrati all’altezza del gravoso compito da assolvere. Dei grandi amori “contromano” di Paoli, Stefania Sandrelli e Ornella Vanoni, si sa quasi tutto. Non va taciuto l’amore profondo per le due mogli, autentici pilastri nel disordine della sua vita con tanti eccessi, ma nutrita di lealtà, amicizia e senso del dovere. La definizione di Antonio Tabucchi, un “lunatico cocciuto”, pare essere la migliore fotografia di questo grande protagonista della musica italiana da più di sessant’anni.