Pablo Trincia: "Elisa Claps, un caso tra errori e orrori"
Due omicidi in due Stati diversi. Una serie di errori in ambito giudiziario. Una famiglia esemplare, resiliente e tenace, i Claps, tanto da motivare il giornalista e sceneggiatore Pablo Trincia a indagare Dove nessuno guarda. Questo il titolo della docuserie sul caso di Elisa Claps prodotta da Sky Italia e Sky Tg24 e realizzata da Chora Media, che andrà in onda in quattro episodi, il 13 e il 14 novembre in esclusiva su Sky Tg24, Sky Crime, Sky Documentaries e in streaming su Now Tv. Una storia vecchia tre decenni e rimasta nell’ombra per ben diciassette anni. Tanto è il tempo occorso per ritrovare il corpo della giovane potentina che nel 1993 aveva solo sedici anni. Uccisa da Danilo Restivo, cinque anni più grande di lei, da tutti ritenuto “strano” e primo tra i sospettati nell’elenco dei famigliari di Elisa ma non nelle indagini degli investigatori. Al punto che il giovane, nel frattempo cresciuto, troverà modo di trasferirsi in Inghilterra, rifarsi una vita e, quasi dieci anni dopo, nel 2002, uccidere un’altra donna.
Nella serie Pablo Trincia, diretto da Riccardo Spagnoli, ricostruisce una nuova verità che passa soprattutto attraverso il racconto dei protagonisti che riportano informazioni dirette sui fatti, materiale video mai diffuso e documenti processuali accessibili, ma che nessuno fino a oggi, inspiegabilmente, aveva mai richiesto e ottenuto. Tutto era iniziato da un podcast di successo per sviluppare poi nel formato video. «Ho deciso di buttarmi sul caso di Elisa Claps perché era da tempo che volevo ricostruire un caso true crime» racconta Trincia intercettato da Libero. «L’idea è nata per caso durante una riunione di redazione in cui una collega l’ha citato tra i possibili casi da trattare. È stato un viaggio incredibile in due città, Potenza e Bournemouth, in una saga che sembra non finire mai, piena di dettagli, colpi di scena e sviste inaccettabili».
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Pablo, in cosa la docuserie Sky si discosta dal podcast?
«È scritto e raccontato in modo diverso. La docuserie restituisce con il video quello che manca al racconto nel podcast: i volti, le strutture, trent’anni di immagini che mostrano anche come il tempo passa e le persone cambiano. Si vedono i maglioni che indossava Danilo Restivo, i luoghi dove è rimasto per diciassette anni il corpo di Elisa Claps. Non si svela niente di più rispetto al podcast ma si possono dare volti alle persone e immagini ai luoghi».
Perché, secondo lei, nessuno ha guardato verso quella che oggi sembra l’evidenza dei fatti quasi a prima vista, cioè la colpevolezza di Restivo?
«Bisognerebbe chiederlo alla dottoressa Genovese, la magistrata che ha lavorato al caso e non ci ha voluto parlare. I primi a pensare subito a questa evidenza sono stati proprio i Claps che infatti sono andati sotto casa di Restivo. Al netto di ciò c’è da aggiungere, tra tutte le virgolette possibili, che a rendere più affascinante il caso, ha concorso anche la capacità di Restivo di passare sotto i radar, tanto in Italia quanto in Inghilterra, dove pure hanno impiegato molto tempo prima di capire qualcosa sull’omicidio di Heather Barnett, vicina di casa di Restivo».
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La magistratura, dunque, non ha collaborato con voi. E dalla curia avete avuto risposte?
«Zero. Non crediamo sia casuale il fatto che il corpo di Elisa sia stato rinvenuto due anni dopo la morte di don Mimì Sabia, il sacerdote che custodiva la chiesa della Santissima Trinità che tra l’altro proprio ieri è tornata ad ospitare la messa domenicale senza un ricordo, una targa che onorasse la memoria di Elisa. Alcune centinaia di cittadini insieme ai famigliari di Elisa hanno protestato all’esterno. Una targa in realtà è stata messa ma in ricordo del sacerdote che, abbiamo dimostrato, ha mentito in tribunale».
Il trentennale dalla morte della giovane ha riportato al centro la storia. Oltre alla vostra docuserie c’è anche la fiction in onda sulla Rai. Due scelte opposte, come giudica l’idea di realizzare una sceneggiatura filmica su un fatto ancora così attuale?
«Può sembrare incredibile ma noi non avevamo affatto pensato all’anniversario che è stato quindi una assoluta coincidenza. Gildo Claps, sin dalla prima volta in cui l’ho contattato, all’inizio dell’anno, mi ha detto che la Rai stava realizzando una fiction, scelta assolutamente legittima che peraltro non ci ha affatto disturbato in quanto si tratta di due lavori completamente diversi. Io non faccio film. Mi sono interessato e ho ritenuto importante raccontare la storia, in cui l’anniversario può essere al massimo un elemento in più utile per la promozione».