Comandante, il regista De Angelis contro Salvini: "La legge da non infrangere"
Cambia il governo e Venezia apre con l'inevitabile polemica, da una parte, e la discutibile lettura storica dall'altra. Non che non ci fosse da aspettarselo, il mondo della cultura e dello spettacolo continua a essere arroccato su posizioni granitiche di resistenza, si esprime per parole d'ordine e luoghi comuni con la presunzione di utilizzare la storia e ribaltarla sul presente, sulla cronaca, a puro scopo politico. Lo diciamo in altre pagine: Comandante è un buon film, probabilmente andrà bene al botteghino e Pierfrancesco Favino stavolta merita davvero la Coppa Volpi. Però a sentire le dichiarazioni dello scrittore Sandro Veronesi, sceneggiatore insieme al regista Edoardo De Angelis, di averci pensato nel 2018, come reazione alla politica sugli sbarchi illegali del ministro Matteo Salvini, presente ieri in sala all’inaugurazione delle 19, inevitabilmente ti pone il dubbio di essere di fronte all’ennesima furbata.
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Cosa significa, dunque, c’era più umanità durante il fascismo? Che in guerra si rispettavano gli altri a differenza di oggi? Abbastanza incredibile l’utilizzo di un episodio più unico che raro e infatti non paradigmatico, una trentina di soldati belgi bombardati quasi per sbaglio nel 1940, rispetto alla catastrofica invasione del presente. Nessun punto in comune, eppure la narrazione fila ancora una volta a senso unico: chi, a differenza del comandante Salvatore Todaro, non rispetta la legge del mare commette un atto delittuoso e la metafora serve da monito a chi la pensa in maniera diversa, non lasciar morire la gente in mare ma evitare che in mare ci vada a morire.
De Angelis ha tenuto a spiegare, di fronte a un’opinione diversa di Salvini rispetto al messaggio del film, «le reazioni di chi vede trascendono chi ha fatto materialmente il film, spero solo che chi vede Comandante convenga che esistono delle leggi eterne immutabili, come le leggi del mare, che non vanno infrante», un dribbling sapiente e astuto, insistendo “mi commuove l’idea della forza come la intendeva Todaro, ovvero della capacità di correre in soccorso di chi è più debole”. Essere italiani lo si rivede in questo racconto così emblematico, perché secondo De Angelis “questa nazione è un crogiuolo, meraviglioso e putrido, ma questa è la sua identità: nasce da tutte le varietà possibili di esseri umani. Questo significa essere italiani ma significa anche andare in soccorso”. Peccato che un film di valore debba rincorrere la polemica politica.
Il leader della Lega risponde a De Angelis: «D’accordo col regista, non a parole ma coi fatti. Durante il mio lavoro al Ministero dell’Interno, i morti e i dispersi in mare sono stati meno che negli anni precedenti e successivi, così come gli sbarchi clandestini. A testa alta, a difesa della vita e delle leggi, in mare e ovunque». Ma polemica c’era già stata, su tutt’altro versante, all’annuncio che sarebbe stato dedicato un film a Salvatore Todaro, personaggio scomodo, autenticamente fascista, anzi un eroe fascista che nel 1941 chiese di essere trasferito nella X Mas, appena un anno prima di morire in battaglia, e con il grado di capitano di corvetta partecipò al blocco navale di Sebastopoli sul Mar Nero, meritando la terza medaglia d’argento al valor militare. In diversi scrissero, delirando, che la celebrazione di Todaro fosse stata voluta non casualmente proprio dal governo di destra, gettando ombre su tale scelta per Venezia. Ci vedevano, insomma, propaganda e invece si è generato l’effetto contrario: a “defasticizzare” il Comandante ci ha pensato la sceneggiatura di Sandro Veronesi, spogliandone la figura da qualsiasi elemento che riconducesse al ventennio. Il suo Todaro è sospeso dalla storia, vive in una sorta di non tempo metafisico, ne esce benissimo nonostante fosse stato fascista. Per completare un revisionismo che ha pochi precedenti, un’interessante domanda in sala stampa sul perché tra tutti questi marinai stipati nel sommergibile non ci fossero stati rapporti omosessuali. Eh, ma allora è proprio un vizio...