Sabrina Ferilli, che sberle alla Schlein: "Troppo radicale, mentre la Meloni..."
Se le sberle a Elly Schlein arrivano anche dalle colonne patinate di Vanity Fair, all’interno di un’intervista rilasciata da una famosissima attrice progressista fino al midollo, per la segretaria (di quel che resta) del Pd si mette davvero male. Domanda a Sabrina Ferilli: «Si è definita donna di sinistra, ora politicamente dove sta?». Risposta: «Eh eh. -Ride. Sospira.- Ora è un problema». Forse non esiste miglior diagnosi dello stato della sinistra schleiniana di queste poche sillabe della Sabrina nazionale, risate e sospiri sospesi. Non so se il riso o la pietà prevale, sembra dire leopardianamente di fronte alle macerie, chic e arcobaleno, di quello che era il suo mondo.
Perché la Ferilli, che da tempo frequenta in prima fila il jet set filopiddino, ha alle spalle una storia meno banale, ancora connessa con le radici di quella sinistra che perlomeno si ricordava dell’esistenza di quell’entità volgare, sudaticcia, priva di armocromista chiamata popolo. Era la sinistra di suo padre Giuliano, dirigente romano del Pci, che, ricorda lei, da ragazza la “obbligava” ad “andare a vendere L’Unità” in strada. Ebbene, è con questa storia alle spalle, che Sabrina parla così: «Oggi la sinistra si occupa di alcuni temi assolutamente importanti, come le discriminazioni, ma dovrebbe insistere anche su quelli più trasversali, come il lavoro, la sicurezza, la scuola».
LA MUTAZIONE
È la mutazione politicamente corretta e geograficamente ristretta alla Ztl, che non le va giù, la sparizione della fabbrica dall’agenda della sinistra italiana a favore del corteo Pride (che a lei probabilmente piace, ma contesta ai nuovi compagni di aver lavorato per sottrazione, di aver fatto sparire altro, forse perfino l’anima della sinistra, ed è tra le pochissime a farlo).
Non solo: più avvezza alla politica della media dei divetti nostrani, sa che le responsabilità hanno un nome e un cognome, in questo caso Elly Schlein. «È troppo radicale e fa fatica a convogliare l’interesse di tutti». Proprio così, il Pd di Elly è ormai un Partito Radicale di (relativa) massa, secondo la formula che il filosofo cattolico Augusto Del Noce individuò come destino della sinistra post-marxista già negli anni ‘70.
E non sembri irriverente il collegamento tra il pensatore e l’attrice, perché questa dimostra di ragionare eccome: «Mi sono sempre ritrovata a sinistra per una montagna di miei pensieri che continuo a credere validi: una nazione che non è solo patria, l’accoglienza che non può essere razzista, il diritto di cittadinanza che deve essere dato a chi nasce e cresce qui. Sono temi tuttavia che non sono interesse di tutti, perché a noi non ci manca di arrivare a fine mese, non ci mancano i soldi per farci curare dal medico privato o per mandare un nipote a una scuola privata. Faccio parte di una fascia, più piccola, di persone privilegiate».
AUTOANALISI
È l’autoanalisi di una radical-chic che sa ancora parlare romanesco, e quindi sa che le priorità della sua bolla non sono le priorità della realtà. Una lucidità talmente senza sconti, che arriva a un moderato elogio di Giorgia Meloni: «È un capo di un governo di destra, e quello è, quello fa» (un riconoscimento della coerenza che stride con la stroncatura riservata a Elly). «Dicono: è preparata. Ma che fosse preparata lo sapevo anche prima» (quindi su questo non ha mai avuto dubbi). Il punto che interessa a Sabrina è però il vuoto pneumatico dell’altra parte, la sua: «L’errore della sinistra sotto elezioni è stato quello di dire: non votatela perché è fascista, invece di proporre alternative». E con la demolizione dell’antifascismo permanente, l’antifascismo in trench sartoriale e in assenza di fascismo, siamo alla sconfessione piena della narrazione (im)politica che ha portato la Schlein alla guida del Pd. Se a sinistra fosse segnalata ancora attività neuronale, proporrebbero seduta stante la segreteria a Sabrina Ferilli.