Pino Insegno? "Un bersaglio politico": l'affondo di Roberto Ciufoli
La Rai è di tutti. Anche di Pino Insegno. Artista di chiara fama da oltre quarant’anni che per lavorare non necessita di etichette che vadano oltre il suo riconosciuto talento. A schierarsi dalla parte del prossimo conduttore di due trasmissioni sulla tv di Stato, Il Mercante in Fiera da settembre e poi L’eredità a gennaio, è Roberto Ciufoli, l’altro volto maschile di quella “Premiata Ditta” che per Pino Insegno è stata famiglia. Ciufoli ha deciso di schierarsi scrivendo un lungo post su Instagram. «Pino Insegno è mio fratello. Siamo diversi e tanto: segno zodiacale, fede calcistica, posizione politica, uno al contrario dell’altro, è per questo credo che ci vogliamo bene da cinquanta anni. Leggo della sorpresa, per me incomprensibile, che segue all’assegnazione di una trasmissione televisiva a Pino come se prima di oggi avesse fatto il domatore di cavallette (...) Pino è un professionista di successo. Se ignorate questo, è meglio che scriviate di cavallette».
Ciufoli, come si dice in questi casi l’ha toccata piano. Come mai questa ulteriore precisazione?
«Ci sono diversi aspetti. Quello che più mi indispettisce è che è stato individuato come bersaglio. Mi è parso davvero esagerato puntare tutta l’attenzione su Pino trasformandolo in esempio di clientelismo. Non mi sembra sia proprio addossabile a lui una responsabilità del genere».
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Viene da pensare abbia pagato un po’ il suo essersi schierato apertamente in campagna elettorale, non trova?
«In realtà quanto sta accadendo è qualcosa che si ripete periodicamente negli anni che ci sia una parte o che ci sia l’altra al governo, perché la politica in Rai è sempre entrata. È quasi una regola. E così continuerà ad essere almeno finché avremo un cda scelto dal governo con un alternarsi legato alla politica. Forse è proprio questa la regola da cambiare, a prescindere da Pino Insegno o Mario Rossi».
Però a quanto si dice, specie per L’eredità, c’è stato qualche malumore a prescindere dalla politica...
«Non credo si possa parlare di proprietà privata sui programmi appannaggio di un conduttore che lo porti avanti finché morte non li separi. Pino, peraltro, ribadisco, non viene certo da un mondo distante. Se poi si vorranno fare questioni di merito, in termini di gradimento, si dovranno aspettare almeno i risultati delle prime puntate. A chi, invece, continua a insistere sul passato, siccome anche io ne faccio parte, dico che quel passato è stato anche glorioso. Siamo stati prima un gruppo di successo che ora, anche singolarmente, continuiamo a lavorare nel mondo dello spettacolo, nel doppiaggio con platee che, a 42 anni dagli inizi, sono ancora piene. Quindi non capisco proprio di cosa ci si debba meravigliare. La politica, semmai, dovrebbe cominciare a considerare il ruolo sociale che hanno gli artisti, mentre ad esempio durante la pandemia siamo stati messi al di sotto dei lettini da spiaggia e degli ombrelloni».
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Queste occasioni televisive potrebbero portarci anche a rivedere assieme La Premiata Ditta?
«È qualcosa di cui ciclicamente parliamo. Ci piacerebbe perché ci vogliamo realmente bene come una famiglia. Solo che oggi, siccome non abbiamo più vent’anni, si devono conciliare interessi e tempi dei singoli. Questo sotto l’aspetto pratico. E poi ci vuole anche l’onestà di non andare a raschiare il barile, cercando di mettere insieme anche qualcosa di nuovo. È sempre bello andare a sentire i Rolling Stones che suonano Satisfaction ma poi ci si aspetta anche il pezzo inedito...».
Tra social e talent show ha individuato qualcuno che potrebbe essere erede della Premiata Ditta o voi siete stati e rimanete un unicum?
«Questo non glielo so dire perché non seguo proprio i social. Il post di ieri è stato sicuramente un unicum (sorride, ndr). In generale le scorciatoie social non mi piacciono e non credo che i milioni di follower e di like possano sostituire la gavetta. La Premiata Ditta ha fatto cose innovative. A tanti giovani consiglierei di andare proprio a vedere quello che succedeva nel passato. Ci sono degli sketch di Tognazzi e Vianello o dei monologhi di Walter Chiari che sono più moderni di tanti stand up che vedo ora che si nutrono solo della presunzione di stare sul web».