Feltri in difesa di Barbara d'Urso: "Perché mandarla via non è un buon affare"
È stata definita “trash” e “trash”, ossia “volgare”, è stato chiamato anche il suo modo di fare televisione. Eppure Barbara D’Urso è una stacanovista infaticabile che è in grado di portare a casa il risultato perché la sua tv, per quanto faccia storcere il naso a chi cerca di darsi un tono nonché agli invidiosi, sempre troppi quando si è bravi, funziona, piace, intrattiene, diverte, ma altresì informa, racconta la società, il costume, la cronaca, la vita degli ultimi, i qualivengono spesso dimenticati persino dai giornali, impegnati a rincorrere il politico di turno e più concentrati su sterili polemiche di tipo ideologico. In questa maniera Barbara, con il suo programma pomeridiano e non soltanto quello, è stata spesso utile alla gente a cui ha dato voce, che per questo la ama. Il suo pubblico è suo personale, non è semplicemente il pubblico di Mediaset. Ecco perché difficilmente il Biscione riuscirà a rimpiazzarla, almeno non nei cuori di quelli che da quindici anni la seguivano più o meno quotidianamente.
"Mai saputo". Barbara d'Urso, il siluro finale su Mediaset: il retroscena esplosivo
Barbara ha instaurato una vera e propria relazione d’amore con gli italiani, che soffriranno tale perdita. Come ringraziamento per la dedizione, la costanza, l’impegno, Mediaset le dà un calcio sul posteriore e se ne libera in tutta fretta, addirittura prima della scadenza naturale del contratto, che sarebbe a dicembre. È dunque questo il nuovo corso che si accinge ad inaugurare l’azienda fondata da Silvio Berlusconi a pochi giorni dalla scomparsa di quest’ultimo? A mio avviso, è una pessima scelta dal momento che riservare codesto trattamento a qualsiasi lavoratore abbia servito con passione qualsiasi tipo di azienda non produce mai buoni frutti. Si configura, infatti, una ingiustizia che determina una ferita in chi la subisce, una spaccatura interiore, una mortificazione. Meglio sarebbe, se proprio un rapporto professionale deve interrompersi, farlo civilmente, con rispetto, sensibilità, gratitudine per il cammino percorso insieme. Del resto, pure i matrimoni finiscono. Ci si separa. Ci si lascia. Si prendono strade diverse. Tuttavia, quanto più la rottura è brusca, apparentemente immotivata, gelida, tanto più diventa dolorosa per colui che la patisce e - è inevitabile - maturerà un desiderio umano di rivalsa.
Barbara D'Urso, rivoluzione a Mediaset: chi può arrivare al suo posto
Personalmente mi colpisce che ci sia questa volontà da parte di Mediaset come di ripulirsi, di ricostruirsi una reputazione, ora che il Cavaliere non c’è più, di fare una tv pettinata, composta, abbottonata, probabilmente già vista, noiosa, forse più simile alla Rai, magari una pessima copia, o caricatura, della tv pubblica. E mi colpisce ancora di più che per centrare questo obiettivo sia stato ritenuto necessario licenziare, anzi scaricare, una come Barbara D’Urso, la regina della tv popolare, da lustri al suo posto, una che non lascia gli studi neppure in caso di cataclisma.
LA FINE DEL “POPOLARE”
E “popolare” - si badi benenon è una parolaccia, un insulto, un marchio di infamia. “Popolare” era quel giornalismo che funzionava e che oggi è defunto, almeno da quando “popolo”, “popolare” e tutti i termini contenenti tale radice o etimo sono diventati parole vergognose, insomma, da quando il popolo ci fa schifo. La nostra insofferenza verso ciò che etichettiamo come “trash” denuncia e testimonia nient’altro che una sorta di grave complesso di inferiorità, una insicurezza, un bisogno di apparire per quello che non si è, di aderire a quel club di progressisti che in pubblico affermano di non seguire programmi come quelli condotti da Barbara D’Urso allo scopo di risultare chic. Mi auguro che Canale 5 non si trasformi in Raitre, che non si spersonalizzi, che non si rivoluzioni tanto da divenire qualcosa che i telespettatori non riconoscono più, telespettatori già in gran parte delusi in quanto a settembre non rivedranno più sul piccolo schermo la loro Barbarella, pronta ad entrare nelle loro case per bere insieme il famoso “caffeuccio”. Ella può piacere o non piacere, può stare simpatica o antipatica, ma quello che conta sono i numeri, in questo caso gli ascolti. È di questi che dovrebbe tenere conto un’azienda.
Chissà come e chissà perché Mediaset si è improvvisamente accorta- dopo la bellezza di quasi due decenni di dirette pomeridiane e serali che Barbara è “trash”, ovvero “grottesca”, quindi non adeguata alla linea che si intende imprimere. Noto che D’Urso si è impegnata, soprattutto a partire dalla scorsa stagione, ad abbattere questo pregiudizio di cui è stata vittima, ovvero la diceria che i suoi sarebbero programmi spazzatura, ricchi di cafonerie. Invece avrebbe dovuto essere orgogliosa del suo stile, del suo metodo collaudato, della sua tv. Francamente sono stanco della diffusa tendenza a criminalizzare e disprezzare tutto ciò che piace alla gente, ossia che risulta popolare, dal politico al presentatore. Dal mio punto di vista, quello che incontra il gusto degli italiani non è da scartare ma da valorizzare. Il nostro compito non è quello di educare, o moralizzare, o nobilitare. Forse sarebbe opportuno scendere da quel piedistallo sul quale ci siamo messi da soli. E dal quale primo o poi crolleremo. Anzi siamo già crollati. Il problema non è la tv popolare di Barbara che sa interpretare alla perfezione gli umori delle gente, ma quella dello spettacolo, basti pensare a Ballando con le stelle e a quella di certi talk show sostitutivi della morfina. O a quella di Report versione moderna della lapidazione amata e sponsorizzata dalla sinistra. Perfino i telegiornali sono noiosi come il rosario e incapaci di rappresentare la realtà del Paese. Però ce la prendiamo con la D’Urso, tardivo capro espiatorio. Una donna di successo accusata di volgarità dopo dieci anni che conduce un programma tra gli applausi. Intendiamoci io non l’ho mai amata perché ogni volta che mi ha invitato al suo programma mi ha irritato dando spago ai miei avversari, tipo la Argento, quella che limonava col cane. Per cui questa mia non è una difesa d’ufficio, ma è il disegno della realtà.