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Natasha Stefanenko, la gaffe con Berlusconi: "Mi spiegarono che era il capo..."

Daniele Priori
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Natasha Stefanenko, ovvero bellezza, pensiero e tanti ricordi. Quelli che non ti immagini e affondano le radici nel bel pieno dell’epopea sovietica, anni nei quali l’attrice, conduttrice e ex modella russa, nata nel 1969, è cresciuta a Sverdlovsk-45, una città segreta, vicino a Sverdlovsk (oggi Ekaterinburg) sui monti Urali, dove fu sindaco per molti anni Boris Eltsin che poi fu il primo presidente della Federazione Russa dopo la caduta dell’Unione Sovietica.Al centro del suo primo romanzo Ritorno nella città senza nome (Mondadori), gancio grazie al quale nasce questa intervista, Stefanenko racconta del biennio 1991-1992, quelli della caduta dell’Urss. E ha scelto come genere per il suo esordio letterario il thriller dal profilo fortemente autobiografico. Il libro sarà al centro di uno degli eventi clou, la sera del 24 giugno prossimo, al “Passaggi Festival” in programma a Fano dal 21 al 25 giugno.

È impossibile non rivolgere un pensiero alla scomparsa di Silvio Berlusconi che lei, immagino, abbia conosciuto nella sua carriera a Mediaset?
«Ho iniziato la mia carriera televisiva proprio con lui nel lontano 1993. Ricordo la prima volta che venne negli studi Mediaset. Non sapevo esattamente chi fosse, ma capii dal grande carisma che emanava e dal rispetto sincero che riceveva da parte di tutti, che doveva essere una grande persona, anche al di là della sua importanza. Mi spiegarono quando uscì che era il capo. Rimasi piacevolmente stupita. Con lui se ne va un uomo che è stato una colonna importante della storia d’Italia, molto conosciuto e apprezzato anche nel mio paese nativo».

Natasha, passati i 50 anni diventa scrittrice. Come mai questa decisione?
«È una decisione che non ho preso proprio ieri. Sono più di dieci anni che scrivo ricordi della mia vita. Ho ritenuto possa essere interessante far conoscere uno spaccato di vita mio e del mio Paese e questo perché quando sono arrivata e mi trovavo a raccontare le mie origini, si mostravano tutti molto incuriositi. Sarà stato anche un po’ per la storia della città segreta. Tutti mi dicevano è una storia da libro. Così ho iniziato a scrivere, ma la pulce me l’hanno mesa le persone attorno a me. Così nasce Ritorno nella città senza nome.

Perché tra i tanti generi proprio un thriller?
«Perché il 1991 e il 1992, gli anni che ho scelto di raccontare sono stati proprio come un film tanto per la mia vita, quanto per l’intera Russia: tra l’accordo sul disarmo nucleare, la caduta di Gorbaciov, la salita al potere di Eltsin. La dissoluzione dell’Unione Sovietica ha cambiato tutte le prospettive e portato anche speranza».

Ha già pensato all’idea di scrivere una sceneggiatura tratta dal suo romanzo?
«Beh, potrebbe diventare anche una serie tv. Perché no? Ma non vorrei essere così presuntuosa. Vorrei capire prima se questa storia, all’85% autobiografica, interessi davvero anche al mio popolo italiano. Lo dico perché vivo qui da trent’anni ormai. E con la mentalità occidentale, mi rendo conto, che il posto dove sono cresciuta possa risultare davvero particolare. Ambientato in una città senza nome, con solo un numero. Circondata da mura e filo spinato in cui solo i residenti, con un documento da esibire ai varchi, potevano entrare e uscire. Per me era la normalità. Quasi mi sentivo libera, forse privilegiata di vivere in una città in cui non poteva succedere niente di brutto».

Poi è arrivata la libertà vera e la sua scelta di venire in Italia. Come è maturato tutto?
«L’apertura verso l’occidente è stata d’impatto. Qualcosa che ha stravolto le nostre abitudini e quelle che ci avevano sempre descritto come verità. Anche noi dovemmo riabituarci a vivere diversamente. A capire che essere liberi comporta dei rischi. Fino ad allora il governo decideva tutto per te. Io avevo studiato ingegneria metallurgica, tanto che quando arrivai in Italia i comici Gino e Michele mi chiamavano “il primo ingegnere non calvo” per sottolineare la stranezza. In Urss studiavi, ti davano un lavoro. Sono andata via con la scusa di fare la modella, ma il mio vero interesse era solo vedere com’era il mondo fuori. È stato mio marito (Luca Sabbioni, ex modello anche lui, ndr) a spiegarmi che fare la modella era un lavoro. All’inizio ero io stessa ad avere pregiudizi. In Russia lo facevano pochissime persone. Non c’era nemmeno un giornale di moda. E le modelle erano considerate poco serie. Quando sono arrivata in Italia poi mi sono ricreduta».

Quando ha iniziato a pensare al cinema e alla tv?
«Mai. Da piccolina non avevo mai pensato di mettermi al centro dell’attenzione o esibirmi. Ero la bambina più timida del mondo. Non era un mio sogno. Nella città segreta avevo fatto nuoto, come mia sorella. Lì dove vivevamo era nato Alexander Popov che ha rischiato e fatto carriera nel nuoto. Quello era il mio vero sogno. Nuotavo due volte al giorno. Alle sei del mattino ero già in piscina, poi andavo a scuola e poi ancora nuoto. Furono i miei genitori a farmi capire che sarebbe stato più giusto studiare...».

Però poi in Italia di tv ne ha fatta...
«Anche il mio arrivo in Italia l’ho vissuto un po’ come un film. Ero impaurita. Non sapevo parlare. Avevo solo l’agenzia che mi ha prestato i soldi che poi ho ridato indietro con il mio primo lavoro. Fin quando Beppe Recchia, il regista di Drive In, mi notò in un ristorante e mi propose di fare la primadonna ne La Grande Sfida di Gerry Scotti. A chi mi chiedeva cosa facessi io ripetevo, con accento russo, che ero primadonna. Così la gente pensava pure che me la tiravo».

E ha lavorato a fianco a molti big. Chi ricorda con maggiore affetto?

«Fabrizio Frizzi. È stato un grande. Fu lui che mi riportò in tv dopo l’esperienza da modella. Vide la pubblicità dello scaldabagni Riello, rimasta nella memoria di tutti. Che io nemmeno volevo fare... Quello spot esplose. Ci fu un periodo in cui tutti imitavano il mio gesto con la mano, così Frizzi mi invitò a fare la giuria di Miss Italia e poi mi fece fare un provino per un programma che si chiamava Per tutta la vita».

Un pensiero pensiero sul conflitto in corso tra Russia e Ucraina ce l’ha?
«Tutte le persone pensanti vogliono la pace. In questo momento stanno morendo giovani russi e ucraini. Qualcosa che crea choc e dolore. Io sono per la pace e contro tutte le guerre. Anche quelle delle quali non parla nessuno».

Sarà ospite col suo libro al “Passaggi Festival”. Qual è il prossimo passo che vorrebbe fare?
«Il prossimo passaggio è quello che la vita mi metterà di fronte. Ho sempre seguito la mia intuizione forse femminile che mi ha portato ad accettare le varie proposte, magari ad occhi chiusi per lo spavento, ma senza farmi sbagliare mai».

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