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Orietta Berti, "diverso": la parola che farà infuriare la sinistra

Daniele Priori
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L’aveva già scritto Francesco Guccini nella sua canzone manifesto: «Ma s’io avessi previsto tutto questo: dati, cause, pretesto e attuali conclusioni» pensate mai che per «quattro soldi e una gloria da stronzi» si sarebbe messo a scrivere canzoni? Lui probabilmente no, mezzo secolo fa, ai tempi de L’Avvelenata. Ma tutti gli altri sì. E più che mai oggi quando, giustamente, il poeta bolognese ha scelto di darsi alla letteratura. Mentre una truppa canterina di adepti al pensiero unico che vede arruolati praticamente tutti i big sulla cresta dell’onda e dell’hit parade, si dà da fare a inseguire le mode del momento. Magari di tendenza sui social. Quelli che la bestemmia più grave per un cantante non è una parola blasfema (unica eccezione tutto sommato tollerata dal politically correct imperante) ma dire, come è capitato ad Arisa (crocifissa in 24 ore) che a lei, tutto sommato, la Meloni piace pure. E allora per una Arisa che scende dal carro del Pride (non per sua volontà ma per sua colpa politica autodichiarata) ci sarebbe una Orietta Berti pronta a salirci anche fisicamente se non temesse i giramenti di testa.

 

 

 

Oriettona nazionale, infatti, lo ha dichiarato a social e stampa unificata, nel giorno del suo 80° compleanno, presentando un brano buonista nei contenuti ma con un titolo se non cattivista almeno furbetto. Diverso, che nel vocabolario del politicamente corretto è una delle parolacce messe al bando. La Berti, infatti, nel brano canta di una mamma che quasi invita il figlio palesemente gay a fare il proprio coming out. Ma l’artista deve spiegare a margine: «Diverso è chi discrimina. Le persone sono nate per amare». Così da salvarsi ancora una volta in calcio d’angolo. Orietta dai modi semplici ma dalla capacità di attrarre sentimenti opposti, persino con un brano come Finché la barca va, provocatorio manifesto del disimpegno, scritto proprio per creare un bel solco tra lei e chi, come i Guccini, i De André, i Vecchioni, allora andavano decisamente controcorrente. «Vendere o no non passa fra i miei rischi, non comprate i miei dischi e sputatemi addosso - cantava il Guccio ancora nell’Avvelenata – prima di una sequela di definizioni scorrettissime e contraddittorie al punto di generare angoscia e «voglia di bestemmiare».

 

 

 

Fate un po’ la tara e guardate il podio di Sanremo 2023 dove è salita la melassa infantilista (con tanto di coro di bambini) del rapper all’acqua di rose, Mr.Rain con la sua Supereroi, mentre ne è rimasta fuori forse l’unica vera innovatrice degli ultimi tempi in Italia: Madame con la sua Il bene nel male (che doveva intitolarsi Puttana) incappata nella celebre e storica censura sanremese, o forse autocensura per non dispiacere alla nonna. Altro calcio d’angolo. Sanremo che poi, a voler strafare, ha prodotto un podio tutto al maschile. Ed ecco che persino l’equilibrista Amadeus avrà scontentato le femministe. Chissà che tra queste non vi sia la star Beyonce che ha accusato di sessismo il mondo della discografia in una intervista di ieri al Corriere della Sera, auspicando di sentire presto musica prodotta dalle donne.

E sì che a ben vedere le ultimissime hit internazionali che hanno spaccato erano un inno al cattivismo. Proprio di donne contro altre donne. Come Shakira e Miley Cirus che per difendere le loro relazioni non hanno esitato a scriverne di ogni contro le rivali. Dissing prestati al pop, si potrebbe dire. Peccato che, facendo due passi proprio nella famigerata trap, si scopre che le parolacce dei ragazzini che la producono sono in realtà del tutto fini a loro stesse. Prive di anticonformismo, anzi prese a inseguire un conformismo peggiore di quello buonista. Il così fan tutti legato a droga, misoginia, omofobia e passione esclusiva per i soldi. Nulla in comune con la rivoluzione del punk di Enrico Ruggeri che in Polvere cantava per primo la depressione senza pietismi o la poesia che da una parte all’altra dell’oceano inseguivano Zucchero e Gino Paoli nella loro versione italiana di Hey man, un inno alla vera diversità che può costare solitudine come nella fantastica Walk on the wild side di Lou Reed. Dove andare controcorrente era sì motivo di orgoglio ma non certo di moda. Un’ammucchiata lussuriosa per dirla con Renato Zero o un Pensiero stupendo flautato come la voce e l’eleganza di Patty Pravo. Nulla a che vedere con il ribellismo al guinzaglio di oggi degli Achille Lauro e dei Rosa Chemical. Che ci scuseranno se la musica vera si suona e si scrive altrove. E non bada ai loro profili social. 

 

 

 

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