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Massimo Gramellini, addio Rai per soldi: quanto prenderà a La7

Francesco Specchia
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«Ecco, la musica è finita/Gli amici se ne vanno/Che inutile serata...». Ci vorrebbero le parole di Franco Califano per commentare la fine de Le parole su Raitre; e per nascondere «la malinconia sotto l’ombra di un sorriso» al suo conduttore Massimo Gramellini già malinconico di suo - che si sarebbe autoepurato da una Rai evidentemente nazifascista.

 

 


Massimo, grande penna e grande cuore, il cui contratto era scaduto, avrebbe comunicato ai vertici Rai il suo addio alle armi aziendale. A dire il vero, s’era già portato avanti col lavoro nell’ultima puntata del suo programma sabato scorso, salutando il suo pubblico e analizzando proprio la parola «pubblico». «Pubblico significa anche servizio pubblico. Consentitemi di ringraziare la tanto bistrattata Rai», comunicava il Max «al di là e al di sopra degli appetiti di potere dei quali è oggetto dal giorno della nascita, questa azienda è piena di lavoratori, tecnici, dirigenti straordinari». E aggiungeva ancora: «Un grande dirigente della Rai del passato mi disse che servizio pubblico non consiste nell’avere tutti i racconti della realtà dentro lo stesso programma, mala possibilità di scegliere più programmi che raccontino la realtà in modo diverso». Oddio, al di là dell’accorato tono alla Paul Auster, non è che io abbia capito bene il senso del commiato.

 

 

 


L’ESEGESI DEL CALIFFO

Ma se applicassimo l’esegesi del Califfo al testo gramelliano lo si potrebbe leggere come: «Siete troppo autoritari e normalizzatori (come dice il Romano Prodi su La Stampa), e vi mollo pure io dopo Fazio e l’Annunziata». Più o meno, questo il senso. Ovviamente, alla notizia dell’abbandono del Gramlin, l’ad Roberto Sergio e il direttore generale Giampaolo Rossi, erano visibilmente spiazzati. Vestiti in camicia nera e fez, impegnatissimi l’uno nella traversata nel cerchio di fuoco piazzato sulle scrivanie del settimo piano e l’altro nell’ordinare due cisterne di olio di ricino in cambio merci (giusto per non rimanere senza) assieme al contratto di servizio, i due gerarchi meloniani in realtà, avevano già pronto il rinnovo della stagione prossima per il programma di Gramellini. Certo, magari Max avrebbe dovuto dare del “voi” agli ospiti; e condurre le interviste vestito come Ugo Tognazzi nel Federale; e mettere al pianoforte, d’accompagnamento, un delizioso Fabio Rampelli che suona il Trio Lescano. Ma son pinzillacchere. Per il resto, ça va sans dire, massima libertà di scaletta.

 

 

 


Però, nella nuova Rai troppo littoria non ci sarebbe spazio per un liberal sabaudo come il vicedirettore del Corriere della sera. Sicché ecco il primo motivo della scelta del suo presunto abbandono: «Ogni spettatore, pagando il canone, finanzia non solo la propria libertà di scelta, ma anche quella degli altri», rammentava lui. Cioè, come ammonivano Lucia e Fabio, dopo aver preferito l’esilio volontario alla riconferma del contratto: qui non è questione di accordi scritti, ma di «clima che s’è venuto a creare». Roba liberticida a prescindere, tipo «libro & moschetto fascista perfetto». Ci sarebbe stato imbarazzo, insomma, nel continuare ad andare in video in Rai perché «non si condivide nulla di questo governo» (Annunziata dixit). Poi c’è anche un secondo motivo per lasciare la vecchia nave che prende la nuova rotta: un nuovo contratto.

 

 

 


MOLTE OFFERTE

Parrebbe infatti, - secondo l’informatissimo Giuseppe Candela su Dagospia- che Gramellini sia destinato a La7 dove Urbano Cairo, suo poliedrico editore al Corriere della sera, lo assumerebbe per il sabato sera. Tra l’altro, Nicola Porro, naturale sostituto di Fazio rimarrebbe a Mediaset «la mia famiglia», nonostante la mezza offerta Rai di fargli perfino co-produrre il proprio talk trasferito a viale Mazzini.

 

 

 

Per il resto confermati Monica Maggioni e Antonio Di Bella, che se non son fasci son collaborazionisti. Dunque alla tv di Stato tornata ai tempi dell’Eiar resisterebbe soltanto il templare del gramscismo Corrado Augias; il quale si macera certo in un’ossessione auto-sacrificale. E, beccato in un ristorante romano da Carmelo Caruso del Foglio, pare abbia dichiarato con un accenno di pugno chiuso: «Io la Rai non la lascio!». Tutto ciò nonostante Giorgia Meloni così bionda e così tetragona, be’, per Augias, sotto sotto, assomigli tanto alle donne-tuono fotografate da Leni Riefenstahl. «Amore mio/ Ho aspettato tanto per vederti/ Ma non è servito a niente». Lo cantava il Califfo, ma sembra Gramellini nell’anticamera sorda e grigia del Roberto Sergio...

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