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Giancarlo Giannini, "fatto fuori per le donne": lo sfogo, chi accusa

Daniele Priori
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«Gli americani sono bravi a giocare con gli effetti speciali, noi abbiamo a che fare con la bellezza. Lo sa cosa mi confessò Steven Spielberg alla prima di ET? Di aver copiato da Vittorio De Sica. Tutti si ispirano al nostro Paese e ci imitano, solo noi non sappiamo valorizzarlo». È di buon umore Giancarlo Giannini al termine di una mattinata di cinema. In questi giorni l’attore è impegnato a Montecarlo come presidente della giuria della XX edizione del Montecarlo Film Festival de la Comedie fondato da Ezio Greggio e Mario Monicelli. Giannini, 80 anni compiuti lo scorso mese di agosto, è un tesoro nazionale vivente, come l’ha recentemente definito il sottosegretario alla Cultura, Vittorio Sgarbi, in occasione delle celebrazioni per la stella sulla Walk of Fame di Hollywood, inaugurata negli Usa pochi giorni prima della cerimonia per gli Oscar. È bene ricordare che questo riconoscimento è toccato a due soli attori italiani nella storia: Rodolfo Valentino per il cinema muto, Giancarlo Giannini per quello sonoro.

 

 

 

Maestro, cosa rappresenta per lei quella stella che porta il suo nome a Hollywood? 
«La stella è meglio dell’Oscar perché con l’Oscar ti premiano per un film. Non me l’hanno dato per Pasqualino Settebellezze, mentre mi hanno dato la stella per tutta la mia carriera che brillerà nel cielo per sempre. Cosa vuole di più? Ma visto che mi chiama maestro, lo sa che insegno? Mi piace farlo a 360 gradi, parlando anche di poesia e pittura, come farò nei prossimi giorni in una scuola siciliana dove terrò una lezione di recitazione unendo L’Infinito di Leopardi e il Campo di grano con volo di corvi di Van Gogh. Del resto io posso dire di aver avuto a scuola, come insegnante di fisica, il compagno di banco di Enrico Fermi. Forse un giorno qualcuno dirà di esser stato compagno di banco di Giannini...». (ride).
In effetti pochi lo sanno ma lei è diplomato come perito elettronico. Possiamo dire che il punto d’incontro tra il Giannini perito elettronico e il Giannini hollywoodiano sia proprio nel giubbotto multigadget inventato da lei e indossato da Robin Williams in Toys del 1992? 
«Probabilmente il mio mestiere doveva essere quello del ricercatore perché subito dopo il diploma fui chiamato a lavorare in Brasile per lavorare sui primi satelliti artificiali. Ma raccontarla sarebbe troppo lunga. Poi un po’ per caso iniziai a recitare. Negli Stati Uniti brevettai quel giacchetto elettronico con 2500 suoni che chiamammo Musical Jacket e finì nel film Toys. Lo realizzai in 6 giorni e 6 notti, potevo morire. Ero bravo con l’elettronica, molto fantasioso».
A proposito di insegnamento, il mese scorso ha dichiarato di essere stato mandato via dal Centro Sperimentale di Cinematografia senza una motivazione. È accaduto qualcosa nel frattempo? 
«Ho avuto una motivazione per telefono. Ero lì da vent’anni. Ero anche nel Cda oltre che come tutor di recitazione. Oltre me hanno mandato via anche Dante Ferretti, Carlo Verdone. Nella telefonata mi hanno detto che ai nostri posti dovevano mettere tutte donne. Non mi hanno inviato nemmeno una letterina. Ma questo non è importante. Spero che le donne che metteranno siano brave. Di solito le donne sono sempre più brave. Lo diciamo noi uomini... per accontentarle». (sorride)
Oggi una donna è anche a capo del governo in effetti... 
«La Meloni l’ho conosciuta oltre vent’anni fa proprio al Centro Sperimentale. Era giovanissima e già faceva politica. Ricordo che tenne un discorso bellissimo, accorato. Da allora mi è sempre piaciuta. Mi piace anche adesso perché va avanti con le proprie idee. Mi piacciono le persone quando sono decise».
E la commedia italiana come se la passa?
«Credo sia già finita. Con Lina Wertmuller abbiamo contribuito a concludere quella stagione di grande cinema che è stata la commedia all’italiana. Con l’ingresso di Lina abbiamo iniziato a fare una commedia un po’ diversa, grottesca e io fui criticatissimo. Pensi che Travolti da un insolito destino... ha avuto delle critiche pessime in Italia. Quando in America ha avuto grande successo, qui da noi hanno riscritto la critica. Son furbi gli italiani eh...».

 

 

 


Lei è stato il principale sodale di Lina Wertmuller. Come la ricorda?
«Come una donna geniale, sottovalutata in Italia. Con me anche un po’ invidiosetta perché nei film che facevo con lei, i premi poi li davano sempre a me e io mi incazzavo anche un po’ perché, lo dico anche adesso e non me ne vergogno: se non ci fosse stata lei, non staremmo qui a parlare. Mi ha proprio inventato Lina. Del resto è stata aiuto di Fellini».
Anche lei ha frequentato tutti i più grandi...
«Beh io di Fellini ero il fotografo. Si lasciava fotografare da me. Mi chiamava il pipistrello della notte. Tutti i grandi registi sono semplici, da Pasolini a Monicelli e Antonioni. Tutti semplicissimi. Fellini una volta, alle 4 del mattino, sul set di E la nave va mi fece vedere una stagnola con del parmigiano reggiano arrivato fresco fresco da Parma. Lo utilizzammo quella notte stessa. Così è rimasta anche una foto di Fellini che mangia le tagliatelle al ragù».
Da uomo, da attore, da divo. Qual è stato e qual è il suo rapporto con la sua bellezza?
«Di questi tempi è molto difficile. Ma la bellezza è la bellezza. Nell’ultimo verso de L’Infinito, in cui Leopardi scrive “e ’l naufragar m’è dolce in questo mare”, è come se il poeta ci dicesse che, pur nell’impotenza di sapere cosa ci sia dietro quella linea, a lui piace comunque poterlo continuare a pensare. Così io, ogni volta che mi viene incontro la bellezza. Non la riconosco mai, però la vedo e si fa sentire». 

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