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Platinette, lezione all'Ue: "Governo scelto dal popolo, non può bacchettarci"

Daniele Priori
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Mauro Coruzzi c’è. E tornerà pure Platinette. Il bene nel male. Ovvero una delle poche canzoni che Mauro non ha citato, via social, nel mese di solitudine ospedaliera seguito all’ictus che l’ha colpito a metà marzo. Per il resto la riflessione è lucida, l’ironia tagliente. Sabato scorso si è fatto addirittura vedere in discreta forma in diretta televisiva su RaiUno.
Tutto questo a pochi giorni dal ritorno a casa. Con Mauro che sceglie di aprire il bagaglio di memorie sui suoi trenta giorni più surreali, tra dolore e salvezza, proprio con noi di Libero.
Tutti tranquilli, dunque: Mauro Coruzzi non diventerà salutista. Non diventerà buonista e continuerà a dire tutto quello che pensa, anche quando le sue idee resteranno controcorrente.

Mauro, lei è un artista ma, abbiamo capito, anche una persona che ha fondato, possiamo dire, la sua intera vita finora su un rincorrersi di cambiamenti. Si sente ulteriormente cambiato dopo questa forte esperienza di malattia?
«Non è il dopo malattia che mi cambierà, in quanto il disturbo è ancora in corso... Certo è che questo, a differenza di altri cambiamenti, non è che l’abbia programmato o preventivato. Ho una certa dimestichezza e convivenza con il mio doppio, ma stavolta non sono io ad avere spiazzato gli altri, è stato l’ictus a spiazzare me... Certo è che dopo una quarantina di giorni dall’evento, mi sono trovato in una situazione inedita, oserei dire stimolante, quasi una sfida a trasformare gli impedimenti in opportunità. Mi viene spesso da ridere, ebbene sì: del mio modo di parlare, sembro un po’ Topo Gigio, del mio deambulare incerto. Mi curo sì ma mi vedo anche, in fondo, più comico, come mai prima».

Cos’è, secondo lei, la salute e cosa il benessere oggi?
«Non lo so e non lo voglio nemmeno sapere... Fino a ieri ho avuto necessità che poco o nulla hanno avuto a che vedere con il benessere fisico o la salute: pigrizia atavica, presunzione da intellettuale di provincia che cultura e stereotipi vetusti siano ancora ben più consistenti della mediocrità ordinaria, mi hanno salvato dall’ansia dello star bene... Ora la battuta d’arresto l’ho presa tutta, ma non mi renderà più avvezzo al salutismo e dintorni: al mens sana in corpore sano oso opporre un mens sanissima in corpore insanissimo! Ovvio, è una provocazione, ma è anche una forma di resistenza nei confronti di una vita che si può vivere con una compromissoria forma di convivenza tra ragionevolezza e azzardo...».

La sanità in Lombardia e in Italia, secondo lei, si è ripresa dal post Covid o necessita ancora di una cura da cavallo?
«Non le saprei rispondere con cognizione di causa. Ho vissuto il ricovero in modo egoistico. Ho poco riflettuto sulla terapia, sui ruoli vari, dai medici alle infermiere, che, mi è parso, vivano un’esistenza problematica (i turni, gli stipendi, la convivenza forzata coi malati). Li ho origliati spesso su questi temi e ho avuto la sensazione che più di una ripresa avvenuta, ci sia necessità di un’iniezione (guarda caso...) di tecnologia, di rinnovamento. Mi sembra che il futuro, altrove già in essere, sia ancora da venire».


Il suo libro di vent’anni fa si intitolava Finocchie e si apriva proprio col racconto di un malore. È cambiato molto da allora.
«Beh, il malore è un topos, un archetipo anche teatrale un po’ come dire venir meno, fa sempre il suo effetto. Feci di tutto, anche con contrasti forti, per mantenere il titolo del libro, che aveva la pretesa di essere tipo catalogo alla “Postal Market” della variegata popolazione che oggi ha sfumature più fluide e connotati che spesso incrociano ideologia e posizionamento politico, meno ironia, anche caustica, come si dovrebbe fare verso chi si conosce bene... finocchie comprese».

Ora, grazie a Costanzo, va in tv come Mauro. Ma tornerà anche Platinette?
«Spirasse, quella sgangherata, almeno avrebbe un epitaffio di un paio di righe prima dell’oblio eterno! Ma, come una zecca, s’attacca ovunque e ho idea che, se a settembre si dovesse mai... rigenerare (tempi indicativi, bisognerebbe elevare una prece, magari attraverso la veggente Gisella, quella che parla con la Madonna il 3 di ogni mese sulle sponde del lago a Trevigiano...), ho idea che sia pronta per Hairspray, il musical per il quale darebbe la qualunque. C’è da aspettare solo che s’acconci per la bisogna, sempre che non le esploda il tubo di lacca anti crespo che usa abitualmente, alla faccia del buco dell’ozono».

Lei ultimamente è in una certa dialettica col movimento lgbt, diciamo così, ufficiale. Che si aspetta dalla stagione dei Pride che sta per cominciare?
«Non sono alla finestra in attesa delle novità, spero solo di un confronto non così settario com’è stato in passato. Non vorrei scontri su temi o posizioni. Ho desiderio che si scolleghino orientamenti sessuali e appartenenza a pensieri standardizzati, quelli sì da evitare come la correttezza di chi non osa una presa di posizione politicamente scorretta».

Ha ragione l’Ue a condannare l’Italia per le politiche del governo Meloni sui diritti delle persone lgbt o c’è dell’esagerazione per non dire del pregiudizio politico?
«L’Ue ha il suo bel da fare con gli scandali dell’Europarlamento, delle tangenti, quel tale Panzeri che io, con principi di demenza senile, ho pensato, da vero rimbambito fosse un autore di canzoni (Pace, Panzeri, Pilat), poi quella Eva lì, che, chiamala furbona, s’è fatta un bonazzo da urlo per poi dividere i dobloni... Non abbiamo una identità da Stati Uniti d’Europa, e figuriamoci se qualcuno del continente può bacchettarci o sindacare sulle politiche di un governo nato per volontà popolare! Ecco, il solito sovranista!».

Dopo questo mese di ricovero in ospedale chi abbraccerebbe di più e da chi si è sentito un po’ deluso.
«Non rivelerei mai, nemmeno sotto tortura, il nome dell’abbracciabile, ma pensi che originalità: è un uomo! Le posso dire un barelliere, sposatissimo con una donna - specifico - che m’è venuto a trovare in degenza, portandomi anche, a Pasqua, un ovetto Kinder con sorpresa. Ma ahimè è solo simpatia... per lui. Mentre per le delusioni, al plurale, le ho avute, molto banalmente, dalla cucina di reparto: un’esperienza ai confini della realtà. Ma lo stracchino, confesso, è uno dei miei cibi preferiti».

Come vede il futuro di Mauro Coruzzi e dell’Italia all’alba di questa nuova rinascita?
«Le confesso che, proprio nel giorno in cui ho lasciato l’ospedale (confermo, il Niguarda è un’eccellenza nel trattamento sulle patologie neurologiche, m’è andata non bene, benissimo!), ho ricevuto una chiamata al telefono da Ornella Vanoni, con cui ho un rapporto di grande stima e affetto. Ad un certo punto, ci siamo ritrovate a ridere, ma proprio da convulsione irrefrenabile, come si dice... di brutto, perché Orni , mentre mi chiedeva del mio stato e m’informava del suo, (un femore fratturato che non le ha comunque impedito di affrontare un tour teatrale in giro per l’Italia...) ad un certo punto ha chiosato citando una leggendaria battuta di Vittorio Gassmann: “Ho una lunghissima carriera... alle spalle”. La mia non sarà una rinascita, piuttosto dovrò affrontare una uscita di scena degna di nota, con la liseuse sulle spalle, come una delle sorelle Materassi, ovviamente il più tardi possibile...»

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