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Cleopatra, bufera su Netflix: "Non era di colore, vi denunciamo"

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Daniele Dell'Orco
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Dalla Grecia all’Egitto, passando per storici, archeologi e accademici di mezzo mondo, stavolta Netflix ha fatto arrabbiare davvero tutti. Non nuova a polemiche legate alle scelte “inclusive” delle proprie sceneggiature, con la serie tv Queen Cleopatra la piattaforma di streaming già impregnata di istante “woke” sconfina addirittura nel revanscismo etno-culturale.
Lo show narrato e prodotto da Jada Pinkett Smith, moglie di Will Smith, descrive la figura storica della regina egizia appartenente al periodo tolemaico (regnante dal 52 a.C. alla sua morte, avvenuta nel 30 a.C.) come una donna dalla pelle nera. Peccato che la vera Cleopatra non fosse neanche vagamente abbronzata. Un ritratto che ha spinto un avvocato egiziano, Mahmoud al-Semary, ad intraprendere un’azione legale contro Netflix presso il Pubblico Ministero, chiedendo a gran voce la chiusura in Egitto del colosso. È l’ultimo capitolo di una lunga serie di contraccolpi negativi scaturiti dalla pubblicazione del trailer in rete che anticipa l’uscita dello show prevista per il 10 maggio (e a questo punto chissà se verrà confermata). Netflix ha dovuto scegliere persino di disattivare i commenti sotto il video del trailer su YouTube, oltre che sui vari social network per via delle migliaia di feedback negativi e di insulti da parte di utenti inferociti.

 

 


REALTÀ DISTORTA
La denuncia presentata contro Netflix sostiene che «la maggior parte di ciò che la piattaforma Netflix mostra contraddice i valori e i principi islamici e sociali, in particolare quelli egiziani» e i detrattori dello show ritengono che questa operazione abbia una connotazione profondamente etnocentrica, afrocentrica, tendenza ormai ampiamente diffusa nella riscrittura persino delle fiabe per bambini (esempio: la Sirenetta afro-americana della Disney) che in questo caso mirerebbe a «distorcere e cancellare l’identità egiziana». Sebbene la serie tv abbia fatto arrabbiare anche i greci, visto che Cleopatra fu l’ultima discendente della dinastia tolemaica, circa due secoli dopo che il satrapo Tolomeo si proclamò faraone (Tolomeo veniva dalla Macedonia, ossia da un regno greco), in Egitto la questione è molto più sentita e non da oggi. L’avvocato al-Semary ha infatti scelto di fare leva sulla nuova legislazione in materia introdotta lo scorso settembre dal Cairo proprio per regolare la penetrazione degli show di Netflix, Disney+ e tutte le piattaforme di streaming che vogliano distribuire i loro prodotti in Egitto. Tutti devono attenersi a una nuova serie di regole volte a garantire che i loro contenuti siano «in linea con i valori e le tradizioni» della società locale, come stabilito dal massimo ente per le comunicazioni del Paese nordafricano: il Consiglio supremo per la regolamentazione dei media (Scmr). Un provvedimento che all’epoca venne varato pochi giorni dopo l’annuncio di misure simili da parte degli organismi che disciplinano le attività dei media anche in Arabia Saudita e nel Consiglio di cooperazione del Golfo (Gcc), un organismo regionale con sede sempre in Arabia Saudita che comprende sei Paesi, fra i quali gli Emirati Arabi Uniti.

 

 


FEROCI POLEMICHE
La misura egiziana tra l’altro ha anche una genesi “italiana”, nel senso che fece seguito alle feroci polemiche scatenate a inizio 2022 dall’arrivo in Egitto del remake locale del film di Paolo Genovese Perfetti sconosciuti. Fu la prima produzione in lingua araba a essere distribuita su Netflix e venne accusata anche da politici e rappresentanti delle istituzioni, di trattare temi non consoni alla realtà egiziana: dall’omosessualità, che in Egitto è proibita dalla legge, fino all’infedeltà coniugale. Da allora, le autorità hanno regolamentato le restrizioni e ora la causa anti-Netflix ha una solida base legale per chiedere di interrompere la trasmissione dell’opera perché volta a cancellare e distorcere l’identità egiziana o a falsificare e storpiare la storia d’Egitto. 

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