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Rai, perché Carlo Fuortes non molla: indiscrezioni esplosive

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Francesco Specchia
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La prima notizia che frulla dal contesto è quasi una comunicazione di servizio: dopo anni, il mitico Centro di produzione Rai di Milano Sempione si sposta in Fiera verso nuovi meravigliosi futuri. La seconda notizia è che viene esaminato e approvato all’unanimità il «progetto di bilancio al 31 dicembre» illustrato dall’ad Carlo Fuortes. Il bilancio evidenza un risultato «netto consolidato in pareggio e una posizione finanziaria netta che, pur risultando negativa (“pur”) per quasi 580 milioni di euro è comunque attestata su livelli di sostenibilità». E poi si parla di quadri macroeconomici complessi, anche se la Rai se ne sta solidamente al primo posto nel mercato tv (36.7% di share sulla giornata e 37,9% in prime time) ed è densa di novità nuove. Ecc ecc.

Però questa è una narrazione che si scontra con l’aria di crisi e mestizia che spira da tempo in azienda. Non è un caso che l’Adrai, l’associazione dei dirigenti Rai, in un comunicato «esprime il proprio sconcerto per l’assordante silenzio del vertice deputato alla guida dell’azienda». Cioè, in eccezionale accordo con i sindacati, i dirigenti della tv di Stato lamentano: l’inesistenza di un autentico piano industriale; il «prevedibile dissesto che deriverebbe da un ritorno al pagamento del canone come bolletta autonoma»; la mancanza della stesura del Contratto di servizio; la latente ottimizzazione delle testate giornaliste. A cui s’aggiungono le avvisaglie di un nervosismo delle banche nella concessione del credito e l’idea di un’inerzia generalizzata che blocca, di fatto, tutti i settori di viale Mazzini.

La vera verità è che Fuortes dato per partente alla Scala di Milano (e rifiutato, per principio, dalla maggioranza del Cda meneghino, anche se lì avrebbero un gran bisogno di lui) traccheggia anche sul “piano B” . Ossia la sovrintendenza al San Carlo di Napoli. Oltre, infatti, alla tenace opposizione –anche a colpi di pandette- dell’attuale capo Lissner, Fuortes vuole la certezza dell’incarico e il contratto firmato col sangue, sennò ciccia, non molla la poltrona Rai. Sicché, a parte l’ineleganza del suo gesto, il nuovo blocco sta creando problemi alla nuova governance destinata dal nuovo governo.

I palinsesti estivi ed autunnali non sono ancora completi, gli investitori traccheggiano, l’ambiente sfrigola. E, in tutto questo clima da tregenda, Fuortes non trova di meglio che immaginarsi a “Tele Minchia” nel video dello show di Fiorello. Al che qualcuno sta già paventando, nei suoi confronti futuri foschi sia per un futuro danno erariale nella (non) gestione dei palinsesti. E anche dall’Authority si leva la possibilità di una pesante sanzione -si parla di 300mila euro, chi li pagherebbe?- nei confronti delle governance Rai per la faccenda di Instagram, di Amadeus a Sanremo; nonchè di un successivo rilievo alla Corte dei Conti; e infine di una conseguente “azione di responsabilità” versus Fuortes, subito all’atto d’insediamento del nuovo cda (che, prima o poi s’insedierà). Tra l’altro, l’azione di responsalità sarebbe un gesto estremo. Per garbatezza istituzionale non si fa mai. Sarebbe il primo caso delle Storia di Viale Mazzini. Il 26 maggio sciopero dei dipendenti. Non si capisce cosa davvero passi nella testa del dottor Fuortes. Accolto come Napoleone, dovrebbe evitare di arrivare a Waterloo...

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