Massimo Giletti, complottismo e querele: cosa c'è dietro allo stop
Ci sono 35 giornalisti a spasso di cui non frega niente a nessuno, dopodiché le notizie restano due e non più di due, ben separate tra loro e non prive di misteri: 1) L’inspiegabile chiusura anticipata della trasmissione Non è l’Arena su La7, programma che andava benissimo; 2) L’indagine fiorentina sulla triplice presenza in trasmissione del favoreggiatore mafioso Salvatore Baiardo, improbabile profeta dell’arresto di Matteo Messina Denaro e possibile dispensatore di messaggi che l’Antimafia vorrebbe decodificare.
Il resto è farina del diavolo macinata da vari giornalisti che hanno azionato il mulino secondo la loro linea editoriale, ma con qualche malizia di troppo: piccole vendette per vecchi trascorsi personali contro Massimo Giletti, patologici tentativi di vederci sempre lo zampino di Dell’Utri o Berlusconi e un’ennesima indagine su di loro, invenzioni su esplosive puntate del programma che il patron di La7, Urbano Cairo, avrebbe voluto bloccare, poi ancora la sciocchezza secondo la quale a sospendere il programma abbia contribuito l’Antimafia di Firenze, la quale, unica cosa vera, ha interrogato per due volte Giletti (19 e 23 febbraio scorsi) sul suo reclutamento di Baiardo come ospite. Più generale, resta la sensazione che l’antimafia giornalistica stia un po’ infierendo su Giletti dopo averlo vissuto come un corpo estraneo rispetto al loro navigato vassallaggio da pigri topi di procura, diffidenti come lo furono le truppe della carta stampata verso le tv del Biscione all’inizio di Mani pulite.
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I PUNTI FERMI - Riprendiamoci qualche certezza. La prima è una querela: Giletti l’ha sporta contro la coppia Foschini-Tonacci di Repubblica, che da parvenu della vicenda si sono inventati un sacco di cose come la mirabile scoperta che «la partecipazione di Baiardo a Non è l’Arena finisce sotto indagine» (lo è dall’anno scorso) e poi che «al centro del fascicolo» ci sarebbe un compenso pagato a Baiardo: 48mila euro «parte dei quali pagati in nero». Ora: che questo ex prestanome dei fratelli Graviano fosse stato pagato non c’erano dubbi, anche se si mormorava di cifre attorno ai 30mila euro, pratica criticabile – il pagarli a uno come lui- ma comunque chiarita proprio ieri da Giletti: il cachet pagato a Baiardo è stato regolarmente fatturato e corrisponde a 10mila euro e 5mila euro – queste le cifre trapelate, se non ce ne sono altre – ma comunque non sottobanco. Il duo Foschini-Tonacci di Repubblica, che ha descritto Giletti come un pagatore in nero a un favoreggiatore di mafiosi, è lo stesso che fu spernacchiato proprio da Giletti a Non è l’Arena nel maggio 2021, quando in trasmissione venne rivelato che lo stesso duo Foschini-Tonacci aveva pubblicato solo parzialmente uno scambio di mail tra l’ex funzionario Francesco Zambon e il direttore aggiunto dell’Oms Ranieri Guerra, vicenda che ora tralasciamo. Nessuno, tra gli ex redattori di Non è l’Arena, crede a una coincidenza.
Un altro duo originaloide si è rivelato quello del quotidiano Domani, Giovanni Tizian e Nello Trocchia: il loro giornale ha titolato «Baiardo attacca Massimo Giletti, il giallo delle foto a Berlusconi», ossia le due questioni più irrilevanti che potevano scovare. I due non hanno dubbi, il caso Baiardo «ha portato alla chiusura improvvisa della trasmissione domenicale» perché a loro va così. Sono sicuri: «Quello che è certo è che allo stop ha contribuito una verifica delicatissima della procura antimafia di Firenze». I quali, va da sé, stanno indagando sulle stragi di mafia del 1993 e segnatamente su Berlusconi e Dell’Utri, i quali per analoga indagine sono già stati prosciolti a Caltanissetta (sei volte) e nella stessa Firenze, stessa città dove è stato giudicato più volte inattendibile proprio Salvatore Baiardo (l’elenco l’abbiamo pubblicato ieri) ma dove ora, secondo il duo di Domani sarebbe ridiventato un oracolo nonostante non abbia neanche la patente di collaboratore di giustizia. Il resto dell’articolo, poi, si abbassa al livello di dettagliare il vaniloquio di Baiardo fatto sul social Tik Tok, dove ha smentito l’esistenza di fotografie che ritraggano Berlusconi e Giuseppe Graviano e il generale Delfino (questione che nessuno aveva neppure posto) e altre malevolenze su Giletti che non lo sta più pagando.
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Anche Il Fatto Quotidiano ha inseguito il caro vecchio core-business: e, per la penna di Marco Lillo, ha scritto che «Giletti intendeva occuparsi di mafia e politica nelle prossime puntate. Per domenica era nel mirino della redazione l’ex sottosegretario di Forza Italia Antonio D’Alì». E sin qui è vero, risulta anche a Libero. Non risulta, invece, tutto il desiderata successivo: «Giletti stava pensando di alzare il tiro con una o più puntate su Marcello Dell’Utri... stava studiando le indagini fiorentine che coinvolgono anche Berlusconi... le stragi del 1993». Marco Lillo termina con un rimprovero a Cairo: «Urbano Cairo, cancellando così il programma di un giornalista sotto scorta per la sua attività, che ha appena testimoniato ai pm che indagano sulle stragi... non sta dando un bel segnale». Libero, ieri, chiudeva il proprio articolo così: «Male che vada, Giletti racconterà che l’hanno cacciato per il suo giornalismo antimafia».
E Giletti ci ha subito accontentato: «L’Italia non è ancora pronta ad ascoltare certe verità, fa più comodo tenerle nei cassetti», ha detto nel ricevere un bel tapiro dagli amici di Striscia. Forse l’uscita, ieri pomeriggio, non è piaciuta a Urbano Cairo, che ha fatto subito un comunicato: «Giletti ha condotto in 6 anni 194 puntate di Non è l'Arena dove ha potuto trattare in totale libertà tutti gli argomenti che ha voluto, inclusi quelli relativi alla Mafia sulla quale ha fatto molte puntate, con tutti gli ospiti che ha voluto invitare. Gli auguro di trovare la stessa libertà incondizionata nella sua prossima esperienza televisiva». Tutto è bene quel che finisce male, se non fosse che Urbano Cairo, qualche altro dato, forse poteva aggiungerlo. Per esempio che il contratto di Giletti è biennale e scadeva a giugno: perché anticipare le cose? Il programma peraltro andava bene: la media degli ascolti della passata stagione (gennaio-giugno) era stata del 5,34, mentre quella del 2023 era del 6,03, e superava il 5,09 di Piazza Pulita e il 5,43 di Propaganda Live. Difficile da capire, soprattutto per chi è rimasto a casa da un giorno all’altro: tutti lavoratori a partita iva sotto la produzione della Freemantle, pagati a puntata. Le puntate sono finite.