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Addio Mary Quant, la donna che ha liberato le donne

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Daniela Mastromattei
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Se la francese Coco Chanel ha fatto indossare i pantaloni alle signore nella prima metà del secolo scorso, l’inglese Mary Quant ha inventato la minigonna e consacrato la libertà in pochi centimetri di stoffa, diventando la paladina della ribellione che la sua generazione covava nella Swinging London degli anni ’60.

Dame Barbara Mary Quant (il suo nome completo), autrice di una rivoluzione culturale, oltre che femminile (e di stile), non amava sprecare tante parole. Ciò che aveva da dire lo affidava alle sue innovazioni: abiti corti, calze colorate, stivali in gomma, capelli a caschetto. Non si autocelebrava, tanto da dichiarare: «Le vere creatrici della minigonna sono le ragazze che si vedono passeggiare per King’s Road», con occhio lungimirante.

La stilista che ha avuto un impatto sulla moda come i Beatles sulla musica pop - e che la regina Elisabetta aveva insignito nel 1966 dei titoli di Ufficiale dell’Ordine dell’Impero Britannico, e nel 2014 Dama Comandante dell’Ordine dell’Impero Britannico per i servizi alla moda britannica - ci lascia a 93 anni. È morta «serenamente», fa sapere la famiglia, nella sua casa nel Surrey, nel Regno Unito. Nata l’11 febbraio del 1930 a Blackheath, figlia di docenti universitari gallesi che si preoccupavano perla sua scarsa inclinazione a seguire le loro orme soprattutto quando a 16 anni, mentre studiava Arte, è scappata a Londra per condurre una vita bohemien col suo grande amore Alexander Plunket Greene, nipote del filosofo Bertrand Russell, che sposò nel 1957 e con cui ha avuto un figlio. L’incontro col marito tra i banchi della facoltà delle arti Goldsmiths le svelò un nuovo mondo: insieme inaugurarono nel 1955 un negozio ibrido e audace per l’epoca, chiamato Bazaar, sulla celebre King ’ s Road londinese.

Nel seminterrato, Alexander aprì un ristorante dove i musicisti jazz accompagnavano le serate. Lì si incrociavano Brigitte Bardot o i Rolling Stones. Al piano terra c’era la tana di Mary, lei proponeva gioielli che acquistava A da studenti d’arte e cappelli che realizzava personalmente.

Rapidamente si formò nell’arte del taglio ed espose nel suo negozio i suoi mini skirt, che spesso cuciva di notte nel Tsuo piccolo laboratorio nascosto in un angolo. Cominciò poi a disegnare le sue col- lezioni per la catena di nego- zi americana JC Penney. Il successo fu immediato. Nel 1963 creò il suo gruppo, Ginger. Le sue minigonne si vendevano in più di 150 negozi in Gran Bretagna, più di 300 negli Stati Uniti, ma anche in Francia, Italia e fino in Australia. Brava anche come imprenditrice. Lo scrittore Bernard Levin la definirà “High Priestess of Sixties fashion”, l’alta sacerdotessa della moda degli anni ’60.

Mary Quant seppe capire, prima e meglio di altri, che il mondo stava cambiando, e anche velocemente. Con l’incubo di due guerre alle spalle, una nuova generazione guardava al futuro come a una pagina bianca da scrivere col desiderio di rompere col passato. La giovane Mary però si attirò una valanga di violente critiche per quell’immediata diffusione a macchia d’olio delle gonne con l’orlo sforbiciato due pollici sopra il ginocchio - che salirono poi a quattro (circa 10 centimetri) - con cui decise di far gridare allo scandalo gli aristocratici e i borghesi inglesi prima, poi il resto del mondo.

Anche se il nome di Mary Quant nell’immaginario collettivo resta legato a quel colpo di forbici che liberò le gambe delle donne, la paternità della minigonna è ancora oggidiscussa. C’è chi la attribuisce a André Courrèges, chi a John Bates. Lei, lapidariamente, ha chiuso la questione dicendo che la minigonna è stata inventata dalle ragazze che la indossavano e che frequentavano la sua boutique.
Mary Quant lanciò anche i collant colorati, e l’incontro con una parrucchiera 17enne fece il resto: nacque così il mito di Twiggy. Questo è indubbiamente opera sua. Come tutto il resto.

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