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Gianni Minà, lo schiaffo della sinistra: cos'hanno scordato

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Giampiero De Chiara
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La notizia è arrivata quando nelle redazioni c’è la corsa a chiudere il giornale, ma nonostante ciò la scomparsa di Gianni Minà è stata raccontata con grande trasporto da tutti i quotidiani. Una perdita grave e dolorosa per chi fa questo mestiere, ma anche per chi ha seguito, fin dai “mitici anni sessanta”, il lavoro del giornalista torinese. Segno che le sue idee politiche (il suo essere di sinistra, il suo anti-americanismo e la passione spesso incomprensibile per certi dittatori sudamericani) non hanno mai inficiato il suo lavoro. Bastava fare un giro sui social per capire quanto Minà, che mancava dal piccolo schermo da quasi trent’anni con un programma tutto suo (a parte il documentario su Che Guevara del 2004 che passa ogni tanto in replica su Rai Storia), fosse amato, ricordato e omaggiato.

Il video con Pino Daniele e Massimo Troisi che lo prendeva in giro sulla sua famosa agendina: «per arrivare a me ha aperto l’agendina, ha letto: Fratelli Taviani, Toquinho, Troisi», o Carla Fracci che negli studi di Blitz balla il rock’n’roll, o sempre da Blitz Gigi Proietti che davanti a Vittorio Gassman lo imita perfettamente nel quinto canto dell’Inferno di Dante, mentre Adriano Celentano gli tiene il microfono. Pezzi di televisione che sono storia del costume italiano. E che sono stati giustamente osannati e ricordati immediatamente. Tanta gratitudine che però, per tanti anni, non è stata data dal giornalista scomparso all’età di 84 anni. Nessuna chiamata da parte della Rai. Possibile che uno spazio non poteva essere trovato per un professionista del servizio pubblico che in questi anni ha continuato a lavorare, girare documentari e scrivere libri?

POSSIBILE SPIEGAZIONE
Una possibile spiegazione la diede lo stesso giornalista in una intervista a Vanity Fair nel 2007. «Sono stato allontanato anche quando governava la sinistra. Nel 1994 Giampaolo Sodano, ex direttore socialista di Raidue, mi rivelò: “Stavi sulle palle all’omone”, che era Craxi. Anni dopo mi hanno detto: “Stavi sulle palle a Velardi”, che era uno degli uomini di D’Alema». L’ultimo suo programma per la Rai si chiama Il mondiale americano, sul campionato del mondo di calcio negli Usa nel 1994. Un’era geologica fa, rispetto a quello che è oggi la tv. Cui Minà però si era adeguato e aggiornato. Nessuno a sinistra si è ricordato dei suoi successi, delle sue proposte («non ti danno risposte e, se te le danno, ti dicono: non è nella nostra linea editoriale. O adesso non è il momento»). Minà ha pagato non le sue idee, ma il fatto di essere un uomo e un giornalista libero nelle scelte che erano legate soltanto alla riuscita del suo lavoro. «Gianni era troppo pulito, non pensava al denaro. Ha avuto un milione di occasioni di farne di facili. Ma non era fatto così, andava dritto per la sua strada. Credo sia morto povero», lo ha ricordato così il collega e amico Gian Paolo Ormezzano. Un ulteriore spiegazione al perché qualcuno abbia voluto dimenticare Gianni Minà.

 

 

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