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Le Iene, Elena Di Cioccio: "Hiv e cocaina", le confessioni-choc

Roberto Tortora
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La notizia-bomba, per il mondo dello spettacolo e della televisione, è deflagrata all’improvviso, in un martedì di inizio primavera: Elena Di Cioccio, brillante attrice e conduttrice, è affetta dal virus dell’HIV. È sieropositiva. Un segreto nascosto da ben 21 anni, che le ha condizionato pesantemente sia la vita professionale che quella privata. La rivelazione durante l’ultima puntata de Le Iene, in cui la Di Cioccio ha esordito nell’ormai classico monologo del martedì in modo spiazzante: “Ho 48 anni e da 21 sono sieropositiva. Ho l’Hiv”. Per metà della sua vita ha nascosto la malattia, ora decide di uscire allo scoperto: “Oggi non ho rimpianti e non sono più arrabbiata. Dopo anni passati divisa tra paura e rabbia, non mi sento più in difetto. Io sono questa e non voglio più nascondermi. Quando incontro ogni persona mi domando se, come e quando dire che sono sieropositiva: ora lo do per fatto, una volta per tutte”. 

Un virus letale tra gli anni ’80 e i ’90, reso ancor più temibile dal famoso spot in cui le persone sieropositive venivano circondate da un macabro alone viola e che, quindi, ne vietava il contatto ed i rapporti sessuali non protetti, perché contagioso: “Quindici anni fa: mi taglio la mano a teatro, esce sangue – racconta l’attrice milanese - si avvicinano per aiutarmi e io urlo: No, non mi toccate. Cavolo che brutto carattere. Oggi la medicina dice che siamo pazienti cronicizzati: in nessun modo io posso contagiare qualcuno. Un sollievo”. La Di Cioccio racconterà la sua vicenda, senza filtri, anche in un libro in uscita il prossimo 4 aprile: Cattivo Sangue, edito da Vallardi. In cui spiega come la malattia abbia anche inciso sul suo desiderio di diventare mamma: “Oggi una donna sieropositiva negativizzata può rimanere incinta. Prima non era così: serviva un passaggio tecnico, pianificare. Fa male”. 

 

Elena Di Cioccio ha sperimentato diverse dipendenze, tra cui la cocaina: “Ringrazierò mia mamma a vita per avermi fatto sentire il peso di quello che stavo facendo. A un matrimonio sono uscita dal bagno e me la sono trovata davanti: tu che sei su di giri non ti accorgi ma da fuori si vede tutto benissimo. Lei mi ha detto solo: no, anche tu no. Era così spaventata, addolorata e impotente che mi è passata attraverso”. A proposito della mamma, nel libro l’attrice parla anche della sua infanzia, non facile, vissuta come figlia d’arte. I suoi genitori, infatti, sono il leader della PFM, Franz Di Cioccio, e la manager Anita Ferra. Quest’ultima ha avuto un destino tragico: dopo alcuni tentativi falliti, si è tolta la vita: “Processare il dolore non è uno sport per tutti e mia mamma aveva stratificato una quantità di dispiaceri grande. Se la sono portata via. È un inciampo che fanno tanti quello di dire a qualcuno che soffre così: se mi vuoi bene smetti. Il problema – spiega la Di Cioccio - è che non vogliono bene a loro stessi. Io a un certo punto ho capito che ero come lei e, nel suo primo Tso, le ho detto: ti devo lasciare andare. Mi ha risposto: hai ragione. Quando poi è successo, in qualche modo ero pronta. Mi ero già detta: arriverà il giorno che lo farà e la mattina in cui ho trovato tutti i messaggi sul telefono, ho capito prima di leggerli”. Una famiglia travolta dai dolori, vista anche la scomparsa del fratellino a soli tre anni, morto soffocato.

 

Vicende dure da digerire, che hanno avuto riflessi anche nelle sue relazioni private, spesso tossiche e in cui veniva anche picchiata: “Se sei in anoressia di affetto, anche uno che alza la voce o peggio ti dà attenzione”. Anche lei ha pensato di farla finita? “Non così. Uno degli effetti collaterali dei miei farmaci è il disturbo dell’umore: se capita di svegliarmi con pensieri tristi, do loro una carezza ed esco”. Se la mamma è perduta, con il papà le strade sono separate: “Ho deciso di preoccuparmi solo di me. Con papà non abbiamo rapporti, ognuno è andato per la sua strada. Ma c’è sempre domani, chissà. Quello che spero ora è di essere finalmente me stessa”.

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