"Everything everywhere all at once": un film con cui fare i conti (e 7 Oscar meritati)
Ci sono dei film con cui bisogna fare i conti. Everything Everywhere All at Once è uno di questi. E per fare i conti intendo rifletterci già mentre li guardi, questo per capire se davvero vuoi arrivare alla fine. Magari perché sono troppo complessi, magari perché senti quel brivido di imbarazzo lungo la schiena e ti chiedi cosa diavolo stai guardando, magari perché sono troppo lunghi. Ecco, la pellicola dei The Daniels (Daniel Kwan e Daniel Scheinert) da sette premi Oscar ti pone davanti a tutti questi tre “magari”. E a conti fatti è un capolavoro di quelli rari.
Tradotto in statuette fanno: miglior film, miglior regia, miglior attrice protagonista (un’incoercibile Michelle Yeoh), miglior attore non protagonista (un lisergico Ke Huy Quan), miglior attrice non protagonista (una magnetica Jamie Lee Curtis), miglior sceneggiatura originale e miglior montaggio (Paul Rogers). Fanno sei Oscar nelle categorie principali e il settimo nella categoria secondaria più principale che ci sia, il montaggio appunto.
INDIPENDENTI
Ovvio, il diluvio di riconoscimenti dell’Academy non fa in sé e per sé un capolavoro, ma l'indizio è di quelli corposi. Soprattutto se ci mettiamo che la pellicola è indipendente, insomma non ha dietro la potenza di fuoco di Universal, Warner, Sony e compagnia monopolizzante. Dietro a EEAAO (così, da ora, per esigenze di sintesi) c’è la A24, casa di produzione e distribuzione newyorkese fondata nel 2012 che nel giro di una decina d’anni è diventata la Bibbia dei cinefili del globo intero. Perché? Ogni singolo film che ha prodotto o è un capolavoro, o è un cult o ha più di qualche ottima ragione per essere gustato. Consiglio: cercate A24 su Wikipedia, scrollate fino a “Produzione”, poi guardate tutti i film del catalogo; al termine della lunga operazione non avrete sprecato nemmeno un minuto (A24 ha distribuito anche Swiss Army Man, opera prima dei The Daniels, altro folle filmone troppo spesso ingiustamente derubricato a mezza fetecchia).
Bene, ma di cosa parla EEAAO? Il film racconta la vicenda di Evelyn Wang (la Yeoh), donna di origini cinesi nevrotica ed iperattiva la cui vita ruota ossessivamente attorno alla lavanderia a gettoni che gestisce. A complicare il tutto c’è il di lei padre completamente rimbambito (James Hong); una figlia lesbica in piena crisi adolescenziale (Joy, interpretata da Stephanie Hsu) la cui fidanzata, Becky, è fumo negli occhi per mamma; un marito tapino, debole, fallito e bullizzato (dalla moglie), Waymond Wang, interpretato da Ke Huy Quan, il bimbo di Indiana Jones e il tempio maledetto nel 1984 nonché Richard "Data" Wang ne I Goonies, 1985. Poi l’attore-bambino era sparito, quasi 40 anni di latitanza per tornare in questo modo, con un Oscar luccicante e al centro del film più chiacchierato dell’anno. Bella storia, quella del bimbo che a 4 anni fuggì dal Vietnam del Sud a bordo di un barcone per poi riparare dopo lunghe vicissitudini negli Usa.
NEL MIRINO DEL FISCO
Ma torniamo alla trama: la lavanderia di Evelyn finisce nel mirino del Fisco, dunque l’intera famiglia si presenta dall’ispettrice Deirdre Beaubeirdre per salvare il salvabile e poi, ciao. Già, perché EEAAO è un film sul multiverso - tecnicamente «insieme di universi coesistenti» - e quell’intreccio di universi paralleli irrompe in modo ingestibile nell’ufficio-interrogatori del Fisco. Estrema sintesi: il multiverso è in pericolo, a minacciarlo - va da sé in un universo parallelo- è una versione luciferina di Joy, la figlia adolescente e lesbica, e proprio Evelyn viene investita del ruolo di salvatrice degli universi plurimi.
Da questo momento in poi non ha senso avventurarsi oltre sulla trama, sarebbe una violenza al film e agli spettatori: i livelli di lettura sono parecchi e soggettivi. Per certo ci sono uomini con hot dog al posto delle dita, kung-fu come se piovesse (i The Daniels pensarono a Jackie Chan come protagonista, ma poi vollero una donna), duelli rusticani combattuti con vibratori ma soprattutto un “Gande bagel” che è il centro dell’universo filosofico della pellicola. Il punto è che EEAAO è un trattato di filosofia. Ma è anche un horror, un sogno-pop, un inarrestabile eccesso visivo che proprio nel suo essere “troppo” pesca la cifra del capolavoro.
C’è l’onirismo di Michel Gondry, c’è la claustrofobia di Matrix. E c'è la citazione demenziale di 2001: Odissea nello spazio, che però è una rivendicazione registica: il multiverso tratteggiato dai The Daniels è un’evoluzione del viaggio nello spaziotempo del David Bowman di Kubrick. L’astronauta Bowman conclude la sua Odissea tornando feto, nel ventre della madre. E la famiglia di EEAAO termina il viaggio nel multiverso con il ritorno alle origini, nell’universo dove tutto è iniziato. La vera sorpresa, però, è un’altra. Il finale infatti rivela ciò che il film ha gelosamente nascosto per tutti i suoi 140 minuti: Everyhting everywhere all at once è soprattutto una inattesa e convincente storia d’amore, e nessuno se lo aspetta. Se vi interessa capire perché, guardatelo. Noi, nel frattempo, ripartiamo dai titoli di testa.