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Lucio Dalla? "Tirchio, bugiardo, immenso": chi era davvero

Luca Beatrice
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Federico Fellini sosteneva che Lucio Dalla fosse la persona più bugiarda che avesse mai incontrato, ovviamente dopo di lui. Non che la verità sia poi così importante, però a Lucio l’invenzione pirotecnica e strampalata piaceva. Ai compagni di scuola raccontava strane storie sul padre che non ha mai conosciuto, Caruso si regge su una versione totalmente apocrifa di una possibile allieva amante del tenore mai esistita. Aveva un alter ego che chiamava signor Sputo, cui veniva lasciato ampio margine di movimento oltre il comune senso del pudore. Il suo carattere non era certo facile, basterebbe chiedere a Francesco De Gregori con cui condivise Banana Republic, il primo tour negli stadi dopo l’embargo del terrorismo: non andava mai alle prove e diceva un sacco di parolacce, cosa che al Principe dava alquanto fastidio.

Quando scrisse 4 marzo 1943, la sua data di nascita, oggi sono ottant’anni, parlando di una ragazza madre e del suo bambino, io piccolo ero piuttosto convinto che quella mamma fosse la mia, nata pure lei nel 1943. «Per i ladri e le puttane mi chiamo Gesù Bambino» fu il verso censurato dalla Rai e al Festival di Sanremo e fu il titolo che diedi al mio libro pubblicato qualche anno fa sulla vita e le opere di Lucio Dalla, uno di quei misteri che più scavi più trovi cose nuove e incredibili.


Per esempio, la sua passione per le automobili, anzi perla Porsche: guidava solo quella e ci fece anche una Mille Miglia, co-pilota Oliviero Toscani ma la macchina si ruppe subito. Era un collezionista d’arte piuttosto competente, con un gusto disordinato che passava dal rinascimento bolognese dell’Amico Aspertini alla pittura della Transavanguardia, dalle maschere in ceramica di Luigi Ontani al delicato tratto di Valerio Berruti che disegnò la copertina del suo ultimo album, Angoli del cielo.


Adorava frequentare gli artisti, soprattutto la comunità di Bologna, dove era considerato un semi Dio. Andava al Dall’Ara a vedere i rossoblù insieme a Gianni Morandi e pranzava nelle solite trattorie, facendo apposta a dimenticare il portafoglio. La sua tirchieria, parlando di soldi, era leggendaria e la sua generosità si esprimeva sotto altre forme, per esempio aiutando i giovani musicisti più giovani, Curreri, Antonacci e soprattutto il timido Bersani che un giorno si presentò con una cassetta e lui lo fece salire sul palco a cantare. Non aveva paura del talento altrui, non ci teneva affatto a reprimerlo, e negli ultimi tempi sosteneva che Mengoni fosse il più bravo. Come Lucio Battisti, non esiste un solo Lucio Dalla, ognuno ha il proprio legato a qualche ricordo, a qualche momento particolare della vita. Volendo periodizzare, ci sono almeno tre momenti salienti, quello degli inizi culminato con 4 marzo e Piazza Grande, quello autoriale insieme al poeta Roberto Roversi, dischi difficili, criptici e la voglia di scappare da una nicchia troppo ristretta e ideologica, quello del grande successo che parte dal disco eponimo del 1979, un capolavoro dove ogni canzone è un singolo, da Anna e Marco a L’anno che verrà, da L’ultima luna a Stella di mare, doppiato l’anno successivo da Dalla, altri gioielli come Balla balla ballerino, Cara e Futura. Lo stato di grazia di Lucio, forse, finisce lì. Poi lo reggerà uno straordinario mestiere, la capacità di tirar fuori ogni tanto il pezzo giusto - Caruso, Attenti al lupo, Washington - ma quella stagione che segnò davvero il passaggio dall’epoca oscura dei ’70 a una nuova Italia più leggera, spensierata, innamorata, porta la sua firma. E noi continuiamo ad ascoltare quelle canzoni che sono autentici frammenti di poesia.

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