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Chiara Ferragni e Fedez, "l'inchino". Chi accusa Amadeus

Daniele Priori
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Non hanno i 5 milioni di euro (a tanto ammonta mediamente l’offerta annua della Rai al Comune di Sanremo) necessari a prendere in mano la gestione del Festival della Canzone italiana ma vanno lo stesso alla carica. Sono le 250 aziende, tante quante sono le etichette discografiche indipendenti in Italia coordinate da Giordano Sangiorgi, presidente di Audiocoop, fondatore e organizzatore da oltre vent’anni del MEI, il meeting annuale a loro dedicato. Lo fanno per difendere la vera italianità della musica che, a loro dire, passa per le loro aziende, realmente made in Italy, e non per lo strapotere delle major e dei social. Qualcosa a cui proprio Sanremo dovrebbe ribellarsi. Per questo hanno deciso, nonostante la non secondaria mancanza di danari, di tentare l’assalto alla diligenza sanremese.

 

A fine anno scade la convenzione tra Comune di Sanremo e la Rai, solitamente triennale, rinnovata tacitamente nell’ultimo biennio per le note indecisioni legate all’emergenza Covid. Festival su cui, a causa di ricorsi vari presentati negli anni, hanno puntato l’attenzione anche i giudici amministrativi liguri, i quali hanno lasciato intendere, in una ordinanza del 2021, che la gestione della manifestazione potrebbe essere sottoposta a bando, quindi aperto a più operatori, in quanto il Comune di Sanremo, proprietario del marchio, è ente pubblico. «Prima di ripartire verso un nuovo Sanremo e nuovi festival tv musicali del servizio pubblico credo vada fatta una riflessione generale a un tavolo in Rai, al Ministero della Cultura e a Sanremo per accogliere quelle proposte, idee e suggerimenti che sono solo ed esclusivamente fatte a beneficio di tutto il settore».

 



Sangiorgi, come pensate di scalzare la Rai dall’organizzazione del Festival di Sanremo dopo 73 anni?
«Siamo interessati a fare parte di un’eventuale cordata che, nel pluralismo musicale, coinvolga anche quelle piccole realtà indipendenti tutte italiane che fanno scouting ogni giorno e che crescono quei nuovi talenti che poi arrivano ai grandi palcoscenici. Così come siamo interessati alla possibilità di poter avere uno spazio esterno qualificato connesso al Festival di Sanremo e a Sanremo per fare ascoltare prima tutte le nuove scoperte indie che arrivano dalla gavetta dei festival e dei Contest in una settimana di incontri e approfondimenti che abbiano il focus sulle produzioni, la creatività e le difficoltà delle piccole e medie imprese italiane della musica. Abbiamo chiesto un incontro all’Amministratore delegato della Rai e al sindaco di Sanremo su questo. Speriamo di essere ricevuti al più presto per presentare le nostre proposte di qualità».

Cosa vi è piaciuto, cosa no di questo festival 2023 di Amadeus?

«Il Festival è stato un grande successo tv e Amadeus è un grande e indiscusso professionista. Ma su 1200 richieste di giovani e 600 richieste di big per partecipare, alla fine su 28 posti solo 4 sono andati alle aziende indipendenti italiane, in prima persona meno del 10%. Chiediamo che, come in Francia e nei paesi avanzati che tutelano le produzioni indipendenti nazionali, questa quota arrivi al 40% con un 20% di esordienti veri: una proposta che dovrebbe spalmarsi su tutto il palinsesto musicale della Rai a tutela e sviluppo delle aziende italiane. A Sanremo è stato siglato da tutti un documento unitario del settore che ha ricevuto grande attenzione dal Sottosegretario Mazzi».

Ve la siete presa anche per l’eccessiva presenze di Instagram. Perché?

«Non ci è piaciuta la pubblicità occulta a Instagram di Chiara Ferragni, una piattaforma social inserita all’interno di un circuito di piattaforme social (Meta ndr) che ha contribuito a uccidere il mercato della musica eludendo spesso il pagamento dei giusti diritti al settore musicale».

Avete capito se la Rai ha un contratto in essere o meno col gigante social?

«Ci risulta che su questa incresciosa vicenda siano stati presentati due esposti e che l’AgCom stia indagando. Ci auguriamo che tale pubblicità occulta venga sanzionata, monetizzata e tale cifra milionaria venga utilizzata per promuovere i progetti dei principali festival musicali Indipendenti come il MEI e tanti altri in Rai che meritano da anni la platea radio e televisiva nazionale, siccome queste manifestazioni propongono spesso in anticipo artisti che poi esplodono nel cuore del grande pubblico».

Eppure nell’Amadeus I del 2020 vinse Diodato. Gridaste alla vittoria dell’“indipendentismo”. Cos’è successo nel frattempo?

«Purtroppo in soli 4 anni la narrazione è cambiata e da un primo Sanremo di Amadeus in cui la parola Indipendenti era citatissima e valorizzata al massimo, quest’anno è praticamente sparita dal vocabolario sanremese. Un altro grosso danno a quel migliaio e passa di piccole e medie aziende italiane che ogni giorno, tra produzioni e organizzazioni, lavorano a costruire nuovi talenti del futuro fuori dai circuiti dei talent tv oramai spompati. Così facendo si rischia di uccidere tutta la filiera della nuova musica italiana che produce tra l’altro bellissime canzoni con almeno una dozzina di generi e stili diversi rispetto ai 2-3 generi del mainstream imperante».

E qual è la vostra proposta al Governo?

«Serve un intervento urgente, culturale e musicale, se non vogliamo tra pochi anni scoprire che i nuovi talenti saranno prelevati direttamente dalle major sulla piattaforma cinese Tik Tok». 

 

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