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Renato Zero contro "l'Italia ignorante"? Tutta la verità: cosa c'è dietro

Francesco Specchia
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Mille a Zero. Al di là di come la pensi (e lui la pensa diversamente da noi, così carico del peso degli anni e così lieve nel sorriso dell’«eterno stupore infantile», direbbe Elemire Zolla), Renato Fiacchini in arte Zero, è impagabile. Classe 1950, rispetto ai trasgressivi d’ultima generazione postsanremesi, Zero sembra ancora David Bowie davanti al Duo di Piadena. Non è un caso se l’altra sera, la curva d’ascolti di Che tempo che fa si sia impennata sull’intervista intima che Renatone ha rilasciato a Fabio Fazio. Zero ha imperlato racconti di vita punteggiati da umorismo e sentimento; ha evocato le prime trasgressioni e il rapporto difficile con i genitori nella Roma popolare degli anni 70; ha dipinto un Fellini- che l’aveva arruolato come attore in Casanova - tenero e inedito e viaggiatore in sidecar; ha dimostrato che l’inevitabile scuola della gavetta affina i talenti e li deposita, levigati, sull’orlo del tempo. Certo, Zero, lì da Fazio pubblicizzava il suo nuovo tour. Ma nei suoi discorsi affiorava ciò che tutti i suoi colleghi pensano sulla showbiz d’oggi, e in pochissimi dicono.

 

 

 

UNA STAGIONE E BASTA

«Io sono molto felice che ci si manifesti per quello che siamo, che si combatta per le ragioni della propria personalità e del proprio carattere» diceva «vorrei solo che quelli che operano nel settore della musica e dello spettacolo preparassero questi ragazzi, fossero un pochino più vicini a loro, sulla formazione musicale, perché va bene il look ma ci vuole anche lo spessore artistico, senza di quello si campa una stagione e basta». Serve il talento musicale, e il sudore, e lo studio. E Renatone non si riferiva soltanto a Rosa Chemical- l’unico artista italiano che non sa chi sia Mattarellae alla sua trasgressione - dadaumpa. No.

Zero invitava a una riflessione tutti i Fedez del mondo e tutto il mondo di Fedez e dintorni: quelli del marketing esasperato e del talento espresso nella cura del proprio personaggio, che poi se sai un minimo cantare, suonare o leggere la musica meglio ma diciamo che non è indispensabile, anzi. Rosa Chemical non vedeva l’ora di sentorsi il bersaglio della furia sorcina del vecchio leone. Ma Zero criticava un sistema. E la sua critica si estendeva all’industria dello spettacolo («Noi abbiamo una piccola dittatura anche nello spettacolo. Avevamo una miriade di impresari, ora ne abbiamo solo due, ciò significa che la democrazia sta venendo meno»). E toccava l’approccio contemporaneo e poco verticale alla cultura: «Non ci sono più i Mario Soldati, i Pasolini o gli Alberto Manzi che portavano la cultura in tv. La cultura non rimanga priori. Va bene il look, ma ci vuole lo spessore artistico, perché senza di quello si campa una stagione e basta per chi se la può permettere, un Paese ignorante è un Paese malato». Molti di noi hanno interpretato come un j’accuse contro il governo.

 

 

 

AI NOSTRI TEMPI

Ma non è così. Zero dava la scossa ai nostri figli: «Abbiamo perso la voglia di scendere in piazza per rivendicare dei diritti. In tempi come questi in cui scendere in piazza è un dovere. Noi scendemmo in piazza nel passato per cose molto minori rispetto a oggi». Certo, forse c’era un filino di nostalgia compiaciuta. Il collega Andrea Scaglia leader dei Ritmo Tribale mi avvisa di non cadere nell’errore del «quelli dei nostri tempi erano un’altra cosa...». Forse ha ragione. Ma se Zero è ancora lì a cantarsela, be’, un motivo ci sarà...

 

 

 

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