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Santo Versace, la confessione straziante: "La frase nel giorno in cui Gianni è morto"

Giovanni Terzi
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«I rapporti tra fratelli non seguono regole precise. Piuttosto, seguono le onde della vita. Ci si unisce e ci si disunisce, ci si allontana e ci si riavvicina. Si naviga a vista. Calma piatta o mareggiate. Qualcuno che casca fuoribordo e qualcuno che lo riacciuffa. Si arriva in porto navigando en souplesse o si è costretti a scappare, inseguiti dagli squali. Se devo dire qual è stato e qual è tuttora l'aspetto più straordinario della mia vita, più ancora dei risultati ottenuti, mi ha entusiasmato la navigazione. Ho seguito il vento, ho seguito il vento della nostra famiglia. Ho imparato a vivere dai miei genitori, ho incoraggiato i progetti di Gianni e poi di Donatella, ho protetto il nostro patrimonio».


Con queste parole Santo Versace introduce il senso del suo libro "Fratelli", Rizzoli Editore, nato venticinque anni dopo l'uccisione del fratello Gianni, stilista ed imprenditore e fondatore della casa di moda omonima, tra i più rivoluzionari di tutti i tempi, capace di stravolgere il mondo della moda.


«Quel 15 luglio del 1997 quando mi arrivò la notizia della morte di mio fratello Gianni entrai in qualcosa che mi stravolse la vita. Ero morto assieme a Gianni».

Come hai saputo di ciò che era successo?
«Stavamo preparando la sfilata a Roma in Piazza di Spagna quando all'improvviso mi dissero che mio fratello Gianni era stato ferito e poi, dopo pochi minuti, che era morto».

Quale è stata la tua reazione Santo?
«Nella immediatezza dissi "Gianni è immortale", non so perché ma fu la prima cosa che mi venne in mente».


Pochi giorni fa è mancato Antonio D'Amico, storico compagno di suo fratello. Aveva ancora contatti con lui?
«Antonio ha sempre avuto buoni rapporti con me, nel periodo passato con Gianni e anche dopo. Al tempo della loro unione vivevano in simbiosi, erano sempre insieme e Antonio rendeva mio fratello un uomo felice: non avrei potuto non volergli bene. Dopo la tragedia io mi sono rinchiuso in me stesso».

In che senso Santo?
«Nel mio libro "Fratelli" lo racconto bene: andavo a dormire nel letto di Gianni, è stato un vero e proprio trauma. In quel periodo ciascuno di noi era ripiegato sul suo dolore, e ci siamo allontanati anche con Antonio, però ...».


Dimmi Santo...
«Quando sono ripartito e ho deciso di scrivere il libro per superare Miami, la prima cosa che ho fatto è stato riprendere i rapporti con Antonio, ma in realtà non li avevamo mai interrotti, solo che ognuno ha vissuto la tragedia a modo suo, siamo due persone che in questa tragedia hanno sofferto in maniera enorme, in maniera incredibile, ognuno nel suo. Ma appena c'è stata l'occasione ci siamo risentiti con affetto».

Perché hai deciso di scrivere questo libro Santo?
«Innanzitutto è stato terapeutico per me rileggere ed affrontare una serie di traumi vissuti, tra cui la morte di Gianni. Questo è stato possibile dopo l'incontro con Francesca, oggi mia moglie, avvenuta nel 2005. Francesca mi ha insegnato ad amare, ho ricominciato a vivere e posso dire serenamente che mi ha salvato la vita; questo libro è un atto d'amore nei confronti di mio fratello Gianni. Una delle cose per me sconvolgenti era che Gianni aveva battuto pure la malattia. Tutto andava a gonfie vele e la "Versace" si stava quotando in borsa oltre che aver programmato la fusione con Gucci e poi, tutto d'un tratto, il buio fino all'arrivo di Francesca».

Fu amore a prima vista?
«Sì. Amore assoluto subito: venne con sua mamma in ufficio da me ed appena la vidi scattò immediatamente un sentimento. Devi poi pensare che io ho avuto una sorella, Fortunata, mancata a soli dieci anni per una peritonite, che nacque il 10 novembre, la stessa data di nascita di mia moglie Francesca. Quando scoprii questo, mi dissi che era un altro segno del destino».

Tu che rapporto avevi con tuo fratello?
«Eravamo la metà della stessa mela ed avevamo solo due anni di differenza di età. Abbiamo fondato assieme l'azienda, lui stilista ed io imprenditore, forse io ero un po' il saggio e lui l'eterno bambino con una capacità creativa che non aveva eguali, ancora oggi Gianni è dentro la mia vita».

Con Donatella che rapporto avevate?
«Gianni ed io eravamo la squadra, sempre assieme, nostra sorella Donatella è molto più giovane di noi, un'altra generazione, ed è stata, la sua nascita, come un dono di Dio dopo la morte di Fortunata».

La politica è sempre stata una tua passione: hai iniziato da giovane nel partito socialista. Come mai?
«L'impegno civico mi è sempre appartenuto come desiderio ed ho sempre pensato che la politica potesse essere la più alta forma di carità esistente. Naturalmente se per politica parliamo anche di impegno per gli ultimi. A Reggio, la mia città, è stato importante impegnarmi per gli ideali in cui credevo».

E poi? Sei stato anche deputato nel PDL: sei rimasto deluso?
«Non posso dire di alcuna delusione ma posso certamente riscontrare che la mia personalità non si addice per l'impegno politico».

Perché?
«Ho iniziato a lavorare con mio padre a sei anni e mi considero un uomo del "fare" ed oggi con la nascita della nostra Fondazione Santo Versace (mia e di Francesca) anche del "dare". "Fare" e "dare" sono la stella polare del mio agire e non sempre le ho trovate in politica. Anche se, in tanti anni, ho incontrato molti politici appassionati».

Quindi mai più politica?
«La faccio da libero cittadino».

Quale è il compito della vostra "Fondazione Santo Versace"?
«Tre parole: aiutare i fragili. Il simbolo della Fondazione è quello di due mani che compongono un cuore: sono la mano mia e di Francesca che non si lasciano mai. Anche adesso, dopo diciassette anni di vita assieme, quando camminiamo per strada ci teniamo la mano. Da qui l'idea di un segno che appartenesse al nostro modo di essere».

E questo lavoro di aiuto per i fragili come si declina?
«In due modi: uno diretto su progetti che abbiamo selezionato noi ed un altro, come accadeva per Altagamma, sostenendo le Fondazioni che stanno già prodigandosi a fare del bene».

Mi faresti qualche esempio?
«Sosteniamo, per esempio, la comunità Nuovi Orizzonti di Padre Davide Banzato e Chiara Amirante e l'oratorio inclusivo fondato da Don Aldo Buonaiuto. Dall'altra parte sosteniamo attività che in qualche modo possano rieducare, con un progetto dal nome "Made in Carcere", chi si è macchiato di un crimine e sta scontando la propria pena».

Una vita piena di progetti quindi Santo?
«Proiettata, con amore, versoil futuro. In tutto questo non abbiamo citato la nostra casa di produzione cinematografica Minerva fondata nel 1953 da Antonio Curti ed oggi gestita, assieme a noi, da Gianluca Curti. È diventata sempre di più una realtà internazionale sino a vincere, nell'ultimo Festival del Cinema di Venezia, due leoni d'argento nella categoria Documentari. Una grandissima soddisfazione per tutti noi».

Sai Santo, in ogni parola che tu hai pronunciato in questa intervista declamavi il tuo grande amore per Francesca. Non vi manca avere dei figli?
«Grazie al lavoro della Fondazione noi siamo pieni di figli che sosteniamo. Questo fa crescere ogni giorno il nostro amore».


A me vengono in mente le parole di mia madre sull'amore "amare e generosamente dare", è forse proprio in questo che Francesca e Santo Versace hanno trovato la chiave della loro felicità.

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