Anna Mazzamauro-choc su Paolo Villaggio: "Uno stro*** snob che mi dava del cesso. Ma le sue chiappe..."
Anna Mazzamauro, mi deve levare un dubbio.
«Mi dica, basta che non riguardi la mia età. Anzi, mi fa una promessa prima di questa intervista? Non scriva quanti anni ho. Non amo le categorie. Gay, etero, vecchia, giovane: che vuol dire?».
Ma non è mica un'etichetta: è un dato anagrafico. Non sarà invece che ha un problemino con la vecchiaia?
«Ah, questo è sicuro! Io detesto la vecchiaia: fosse per me vivrei per l'eternità, come un Highlander. Cerco di combattere il tempo che passa continuando a lavorare. Ma lei diceva di avere un dubbio. Prego».
Al Corriere della sera ha raccontato le cose tremende che Paolo Villaggio le diceva: «racchia», «cesso». Possibile che fosse così stro***? O era solo un uomo infelice?
«Probabilmente entrambe le cose. Come tutte le persone molte intelligenti Villaggio sapeva essere stro***: si approfittava del proprio acume per punire gli altri. Ricordo che aveva un atteggiamento snob verso i colleghi alle prime armi: eravamo tutti terrorizzati da lui».
Mi spiace per quello che ha subito. Dopo le sue dichiarazioni qualche collega, per esempio Milena Vukotic, l'ha chiamata?
«Si dispiace de' che? Nei racconti di Fantozzi ognuno di noi era un cesso: appartenevamo ciascuno a un diverso girone dantesco. Io a quello delle amanti, Milena a quella delle mogli e così via... Nessuno era amico di nessuno. Non voglio però che la gente mi dia della poverina perché Villaggio mi dava del cesso. Tra l'altro posso fare una correzione?».
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Prego.
«Il Corriere ha scritto che, quando eravamo ospiti da Barbara d'Urso, Villaggio disse di avermi scelta "come si sceglie un cesso" e che io risposi: "Ma tu hai fatto un sacco di soldi". Non andò così. Io replicai: "Un cesso sul quale avresti appoggiato volentieri le tue chiappe". Forse il termine chiappa ha spaventato il giornale!».
Tranquilla, noi non ci formalizziamo. Mi dica però la verità: con lo spettacolo teatrale Com' è ancora umano lei, caro Fantozzi di fatto si sta prendendo la sua rivincita?
«Un po' mi vendico un po' mi riconcilio con Villaggio e anche con il mio personaggio. Vuole la prova? Durante lo spettacolo do finalmente un nome alla signorina Silvani: il mio. Lei ora è Anna Silvani».
Lei è sempre andata molto fiera della sua bellezza atipica. Da donna a donna, però, le chiedo: non ha mai sofferto, nemmeno da bambina?
«Certo che ho fatto fatica, sia da bambina ma anche dopo. Capita purtroppo di imbattersi in qualche stro*** che sottolinea la tua atipicità (non parlo di bruttezza perché quella parola evoca qualcosa di volgare e di incolto) a maggior ragione nel mondo dello spettacolo dove sembra che non puoi recitare se non hai le gambe attaccate ai lobi delle orecchie e il sedere attaccato alla nuca...».
Nonostante i proclami inclusivi, cinema e tv impongono di fatto un modello di bellezza a senso unico?
«Eccome. Persino le giornaliste dei Tg sono tutte belle e rifatte! Ma perché? Per non parlare di quante donne ricorrono alla chirurgia diventando tutte un bozzo. C'è poi un'altra cosa che mi stupisce: nelle interviste fingono tutti di essere dei sapientoni e dei saggi. Quanto mi fanno ridere! Non sento mai qualcuno che dica la verità! Ma perché non ammettere di avere dubbi, vizi, limiti?».
Ha ragione: iniziamo subito. Un suo vizio?
«Qui è lunga... La verità è che sono una donna inutile».
Su, non dica così.
«Davvero: ho solo la virtù di sapere recitare. Il mio unico vanto è che non sono "diventata" un'attrice: lo sono sempre stata. È scritto nel mio dna. Sono utile solo quando sto sul palco.
Ho solo questa virtù: il resto è una tragedia».
Per molti lei è un'icona gay: ne è orgogliosa?
«Molto. Il 15 giugno porterò Com' è ancora umano lei, caro Fantozzi al Pride di Padova».
Pensavo fosse contraria alle etichette...
«Sono riconoscente non tanto di avere quell'appellativo, ma per il fatto che mi venga riconosciuto un atteggiamento di rispetto. Nel mio spettacolo la signorina Silvani si dispera di essersi imbattuta in un uomo gay, in un "diverso", ma lui le risponde: "Non sono io a essere diverso, sono gli altri a essere troppo uguali". Poi si infila la giacca per metà e aggiunge: "Io sono giacca e tulle, giacca e seta, giacca e piume"».
Si sente invece un po' femminista nell'animo?
«Ecco, quella sì che è un'etichetta. Preferisco parlare di rispetto dei diritti e delle donne».
Ha dichiarato: «Sono anarchica ma non bombarola». Cosa pensa della guerra in Ucraina?
«Rispondo citando il poeta Jacques Prévert: "Che coglio*** la guerra!". In questa definizione c'è già tutto. La guerra è solo distruzione e morte. Appunto, una coglio***».
C'è chi ha paragonato le restrizioni da Covid alla dittatura di Putin. Anche questa è una coglio***?
«Molto più di una coglio***! Il paragone non sta né in cielo né in terra: noi non siamo morti stando in lockdown, non abbiamo visto le case bombardate, gli edifici crollare, le vite cancellate. Nessuno ha ucciso nessuno».
Si è vaccinata?
«Certo! So' tutta un buco: ho fatto tre vaccini, l'anti influenzale, il vaccino contro la polmonite e sono in attesa del richiamo anti Covid».
Finora lei ha fatto molto teatro e poco cinema: è stata una scelta sua o di terzi?
«Di terzi, anche se io non so fare cinema: lo stesso Fantozzi è in fondo un'opera teatrale. Io e Paolo Villaggio ci comportavamo come dei buffoni del 600. La mia vocazione è il teatro: sono nata per quello, per immergermi nei personaggi, confondermi con loro. Detto questo, se ho fatto poco cinema non è dipeso da me».
Le offrivano sempre i soliti ruoli?
«A teatro sono una prima donna, al cinema vengo subito declassata a caratterista: un termine che detesto. Adesso poi che non ho più vent' anni, mi danno ruoli da anziana chiedendomi pure di balbettare: ma le pare? Gli ultimi due film che ho fatto sono stati tremendi (Poveri ma ricchi e Poveri ma ricchissimi, ndr)».
Ma allora perché li ha fatti?
«Sa... è comunque lavoro».
Dopo Com' è ancora umano lei, caro Fantozzi, cosa bolle in pentola?
«Porterò in teatro una dark lady. Non sarà un personaggio di fantasia ma un mostro davvero esistito. Sarà una storia molto forte di cui però non posso svelare di più».
Un'ultima domanda. Ha paura della morte?
«Sì, per forza: sono atea. Quindi ho paura eccome della morte, perché non penso che ci sia qualcosa dopo».
Paolo Villaggio era un uomo infelice. Lei invece?
«Sono felice perché faccio il lavoro che sognavo fin dalle elementari e per cui ho sempre lottato. Già solo questo mi infonde un senso di gratitudine immenso verso la vita. Inoltre, quando sono sul palco, sento tutto l'amore del pubblico. Mi sento viva, bellissima... felice».