Sabina Guzzanti, "mazziata della sinistra. Capito, i "democratici"? "Perché sono fuori dalla Rai da 17 anni"
La nuova Sabina Guzzanti scivola in altri mondi letterari. Oggi Sabina è Che Guevara a braccetto di Greta Thunberg che legge gli scritti di Orwell e Ursula Le Guin; eppoi si fa un aerosol di Stefano Benni. E, alla fine, ti esordisce con un romanzo, La disfatta dei Sapiens (HarperCollins), che è una distopia costruita su futuri imperfetti, diseguaglianze, migrazioni, tecnologia cattiva e altre catastrofi. Si può essere o meno d'accordo con lei, ma Guzzanti, romana, classe 63, è un talento omerico della militanza.
Sabina, questa sua versione da narratrice ci mancava. Nel romanzo, allegramente inquietante, colpisce la redazione del giornale Holly che è l'unica rimasta fatta di umani; il resto dell'informazione è regolato da robot e algoritmi. Non è un tantinello pessimista?
«Be', ci sono anche degli algoritmi che suonano un ottimo Mahler. Il tema del condizionamento, della libera informazione mi è sempre caro. Il cervello della gente è plastico, si plasma e si sta abituando alle stronzate, a non preservare più indipendenza e libertà di giudizio. Prenda i social in blocco, o il caso Cambridge-Analytica: la questione lì non è posta sul fatto che c'è un'azienda che ti frega e manipola i dati personali (pazzesco), ma sul fatto che tu, aprendo la schermata, debba consentire con un clic l'accesso a quei dati».
Quest' idea dell'informazione plagiata, («la mente umana non può essere manipolata oltre il 45%», è una legge contenuta nella Disfatta dei Sapiens) per lei ricorre dai tempi di Raiot, programma sospeso da Raitre nel 2003 nonostante ottimi ascolti. Non è che un'idea che le ronza in testa perché la Rai - misteriosamente - non la chiama più da 17 anni?
«No. Dalla Rai sono fuori da 17 anni, ma non è per rabbia che dico che si è paurosamente involuta. In tv riesco a vedere in compagnia solo Propaganda o Una pezza di Lundini o Stefano Bollani. Ma badi, non è solo la comicità, i talk li trovo assurdi. Si producono in contorsioni semantiche, diciamo pure in c***e, ma nessuno che lo dica. Io, di informazione, riesco a sostenere Report o Presa diretta nella puntata sugli allevamenti intensivi superproduttori di anidride carbonica, per fare un esempio».
Però nei talk lei ci va...
«Che c'entra? Io nei talk ci vado a promuovere i miei libri, magari cerco di tenere alto il livello, non so se ci riesco».
A DiMartedì, Alessandro Sallusti si è trovato schierato con lei sulle riaperture. Le è sembrato strano?
«No, è già successo con altri. Io ho detto che la severità del lockdown non ha ragione di essere. Perché è lo Stato che deve tracciare il virus, ampliare la capienza dei trasporti, ecc. Se non lo fa non può scaricare la responsabilità su di noi. Almeno ti dicesse: "Tu ora chiudi, ma nun te preoccupà, c'ho un'idea fantastica per un film, lavorerai un sacco!". Invece allo Stato non gliene frega niente se e come io riuscirò a campare...».
Torniamo alla Rai. Cosa non va a Viale Mazzini? La censura (come dice Fedez)? Il classicone della politica invasiva anche da parte dei partiti antipolitici?
«Ha ragione Fedez, c'è molta più censura che un tempo. E le parlo come una a cui hanno chiuso un programma di successo su Raitre, e nessuno ha mai capito chi sia stato. Ruffini diceva la Annunziata, la quale diceva Cattaneo (presidente e ad Rai; ndr). Un programma chiuso da solo, a sua insaputa. Ci ho dovuto fare un film, Viva Zapatero, per spiegare com' era andata».
Ricordo che Mediaset l'accusò di falso sulla Legge Gasparri e di tutta una serie di attacchi antiberlusconiani. La sospesero ad aeternum, come Grillo. Col senno di poi, ha capito chi, a destra, volle la sua testa?
«Ma non fu solo la destra. Anche la sinistra mi mazzuolò, sempre che ci sia ancora qualcosa di sinistra in natura. La sinistra oggi, non riuscendo a creare aspettative, non riesce neanche più a deludere; comunque ha generale intolleranza verso le critiche. E, no, non c'è nessuno che mi abbia mai dato spiegazione né chiesto scusa. Quello che mi secca sono quelle che ti vengono col sorrisino cattivo e ti dicono: "Ma com' era bello il suo programma! Quando la rivediamo in tv?". Da lì ho lavorato anche per il web (il TgPorco, ndr) ma era economicamente insostenibile. Detto ciò, non è solo la Rai malata, ma tutta la televisione...».
Mi articoli meglio il concetto. Non mi tirerà fuori la storia, un po' snob, che lei a casa notoriamente non possiede la tv?
«La tv in genere è schiava di indici statistici e quantitativi, che sono ossessionanti e condizionano i programmi e le notizie laddove una volta contava l'indice di gradimento. E, certamente, io non ho la tv, ma guardo i programmi dal computer: li scelgo e non li subisco, è una fruizione diversa, se permette. E noto che il 90% della tv oggi è triste. E, se permette, preferisco togliermi il libero arbitrio magari guardando Zavattini che i pacchi. Oppure mi butto su una bella serie. Ecco, io sono una delle prime divoratrici delle serie tv. Sono cresciuta con 24, I Sopranos (favolosi), Six Feet Under, Breaking Bad, The Shield ».
Lei - diciamo - non le mandava a dire. Nello slancio dell'impegno politico, per esempio, lei pronunciò ingiurie sessuali nei confronto dell'allora neoministra Mara Carfagna? Se ne è pentita?
«Con la Carfagna ho sbagliato, ma le mie scuse sono state le 40mila euro che ho dovuto pagare in tribunale. Ma non ce l'avevo con lei. Era solo un simbolo. Oggi è facilmente accettato che ballerine seminude o gente senza alcuna esperienza diventi ministro delle Pari Opportunità. Ma allora non era così: e dare a lei quel ruolo era una provocazione nei confronti di tutte le donne che si ribellavano ogni giorno. Poi lei si è rivelata anche brava. Ma nessuno ha voluto capire a cosa mi riferissi...».
Due suoi cavalli di battaglia erano le imitazioni di D'Alema e Berlusconi. Il primo, ora, ha qualche problema nei rimborsi ai Socialisti Europei. Il secondo è considerato il nobile ago della bilancia a centrodestra. Come li giudica in questo tempo?
«D'Alema non l'ho mai sentito, ma mi dicono che si divertisse all'imitazione. Berlusconi è stato per anni il nemico. Non dimentichiamoci: il populismo in senso becero in Italia l'ha inventato lui; ha invaso il dibattito pubblico allestendo la politica con personaggi in genere non all'altezza, incompetenti. Esattamente come stanno facendo oggi i grillini. Certo, dopo Berlusconi è cambiato, ha fatto buone cose. Ma non dimentico il peccato originale».
Nel suo libro parla anche di economia: di un centinaio di milioni di arcimiliardari onnipotenti e tre miliardi di migranti ambientali (molti italiani) senza diritto di voto, raggruppati in campi di accoglienza; di una legge dell'equilibrio dove i ricchi devono rimanere ricchi e i poveri, poveri. Vede davvero così il futuro, feudale e apocalittico?
«Ho ambientato il libro nel futuro (non troppo apocalittico, perché avevo bisogno di protagonisti esseri umani possibilmente vivi) perché la distopia è il genere che più ti permette di fare satira. Però siamo davvero alla soglia pericolosa dei disordini sociali, della violenza nelle piazze, le diseguaglianze aumentano. I politici non muovono un alluce. Nemmeno per informarci. Prenda il Recovery Fund: nessuno entra nel dettaglio. Eppure, dovremmo sapere bene dove vanno i nostri 248 miliardi di fondi. Invece co' sta' cosa del "lascia fa', ce pensa Draghi" ci perdiamo il libero arbitrio».
Si riferisce ai grandi temi un po' occultati come i pochissimi fondi per risorse idriche bucherellate che perdono il 40% dell'acqua, o per la depurazione (cito a caso)?
«Sì. Per esempio. Oltre ai temi della digitalizzazione, del trattamento dei dati».
Lei è per la libertà dei popoli, quello delle uguaglianze è un altro tema del libro. Il Ddl Zan la convince?
«Essendo io per la libertà totale, sono anche per il diritto di offendere. Anche se credo che la legge Zan tuteli chi, attraverso quell'offesa, subisca violenza. Detto ciò, si tratta di un'emergenza culturale che non si risolve con la legge ma con la cultura. Cioè cambiando la mentalità della gente. Penso al lavoro della Rai in bianco e nero che, con Tognazzi e Vianello o Walter Chiari, era molto più progressista e liberale di oggi».
Lei, Corrado, Caterina avete mai pensato di lavorare insieme?
«Con i miei fratelli andiamo d'amore e d'accordo, ci vediamo e frequentiamo. Ma tendenzialmente non lavoriamo insieme, soprattutto perché siamo tre personalità ben definite».