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Aldo Grasso, i 10 comandamenti per la tv del futuro

I "comandamenti catodici" della tagliente penna del Corsera: come vuole il 2014
di Andrea Tempestini domenica 29 dicembre 2013

4' di lettura

È un po’ come discettare su una reliquia, sulla lingua del santo dei palinsesti.  Essendo il professor Aldo Grasso del Corriere della sera - col suo sussiego da colonnello asburgico - nonostante qualche scivolone - il nume tutelare della critica tv in Italia; ed essendo che i suoi impavidi «dieci desideri per la televisione del 2004» sul settimanale Oggi tra i più cliccati, procediamo - per gioco, per vezzo duchampiano - all’analisi delle analisi del critico. 1) Grasso desidera che «la tv parli meno di se stessa», che la smetta di autonutrirsi, in una spirale psicomaniaco-depressiva, del sangue della cronaca e delle lacrime delle vedove. Giusto. Ma, il desiderio è già in via di realizzazione: dopo le abbuffate di Yara e Sara, i programmi di prime time ad essi dedicati non brillano e quelli pomeridiani sono scomparsi. 2) Grasso vorrebbe «meno talk show d’approfondimento» ché sono solo passerelle per politici e narcisi. Teoricamente è vero. Ma finchè il rapporto qualità-prezzo regge (i talk costano meno, e nella crisi si spalmano soprattutto sul prime time ) e finché reggono gli ascolti (Ballarò è sul 14%) sarà difficile. Semmai, meglio cambiare gli ospiti ed evitare la rissa. Non è un caso che i talk politici mattinieri - di La7, Rai o Sky - garbati e spesso con ospiti competenti che non accavallano le voci, aumentano la share. 3) Grasso non vede l’ora di «vedere una fiction italiana senza eroi, santi, navigatori». Ma, purtroppo questo è il paese degli eroi, dei santi e dei navigatori. La cui esaltazione spesso rimane il rimedio contro l’assuefazione alla mancanza d’etica e alla corruzione. E, a parte il fatto che a fronte di un Adriano Olivetti c’è sempre Una grande famiglia, l’agiografia in tv - a piccole dosi - si configura comunque, per lo spettatore medio, insufflata di speranza e forma di psicoterapia. Accadeva lo stesso con i film di Capra, Sturges e Hawks nella Grande Depressione Usa. A quei tempi Mad Men non sarebbe mai andato in onda... 4) Grasso sogna che «in Italia si faccia qualcosa di simile a Downton Abbey». E grazie tante. Parliamo della serie inglese migliore d’ogni tempo. Sceneggiatura cristallina, scenografia sontuosa, cast perfetto. Però, diamine, ogni puntata, 48 minuti, costa 1 milione di sterline. Un milione. Se negli anni 70 avessero dato un budget del genere a Mario Bava sarebbe diventato Quentin Tarantino... 5) Grasso si domanda: «Verrà mai un giorno in cui la Rai, il Servizio pubblico farà un varietà bello come X-Factor? Tornerà Fiorello?». Ma, veramente, X-Factor ha esordito, appunto, sulla Raidue del tanto vituperato Antonio Marano. Ed era avvincente quanto l’odierno fenomeno su Sky (oltre a fare, nei tempi d’oro, più ascolto). Dovremmo smetterla di affermare che se una stessa cosa fa la Rai è da pirla, e se va su Sky è da fighi, e lo dice uno che alla Rai non lesina critiche. Su Fiorello: certo che tornerà, dipende dal contratto... 6) Grasso attacca i telecronisti del calcio che si parlano addosso e spera «nel silenzio». Ha ragione. Specie da quando hanno come appendice molesta il «commentatore». Ma voglio vederla una telecronaca senza telecronista. Anni fa c’erano i Gialappi che sdramatizzavano le partite; ma la loro satira andava bene per i primi due match d’un campionato. Dal terzo in poi tornavi su Bruno Pizzul... 7) Grasso si spertica: «Lunga vita a Milena Gabanelli. L’inchiesta è l’unico antidoto alla chiacchiera dei talk». E ha ragionissima. L’abbiamo sempre scritto. Viva Milena - che scrive  per il Corriere della sera -  e viva le inchieste (purché accurate...) 8) Grasso si augura: «sarebbe bello si cominciasse a discutere di tv di qualità, da non confodersi con la tv intelligente». E qua mi sfugge il concetto. È più «tv di qualità», per dire, Masterpiece da Grasso massacrato; o Plastik-Ultrabellezza terribile passerella sulla chirurgia estetica a base di silicone e botulino osannato da Grasso che plaudiva al «prof. Marco Klinger che ha rivelato un’insospettabile padronanza del mezzo» (e tutti ad arrovellarci: chi cavolo è il il prof. Klinger?). 9) Grasso scrive: «Vorrei che i palinsesti non venissero fatti dai Lucio Presta o dai Beppe Caschetto». Anch’io. E vorrei che i giornalisti non avessero Presta o Caschetto come agenti. 10) Grasso non vorrebbe «vedere un Matteo Renzi in un programma di Bruno Vespa». Che significa? Renzi può andare da Fazio, o che non può proprio andare in tv? Ma se non può andare in tv Renzi sarebbe davvero Renzi ? (Citerei Kennedy nel dibattito alla Cbs nel 60, se l’argomento non venisse usato da Renzi come arma impropria...). di Francesco Specchia

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