Ma che bella sorpresa, al cinema torna Renato Pozzetto nei panni del padre di Claudio Bisio. Prendiamo in prestito il titolo del nuovo film di Alessandro Genovesi per raccontarvi l’attore milanese che gira all'ombra del Vesuvio. Ad interpretare sua moglie è Ornella Vanoni. Sono i genitori di un professore di liceo in crisi che da anni insegna a Napoli. Tra i protagonisti anche Valentina Lodovini e Frank Matano. I ciak continuano, e sicuramente alla storia si aggiungeranno scene sempre più interessanti, visto che il regista de La peggior settimana della mia vita, e Soap opera, non ha mai sbagliato un colpo. Come non lo ha mai sbagliato Pozzetto. Seguirlo è facile, mastica cinema, teatro e cabaret sin da quando aveva poco più di vent'anni. Un veterano sempre amato dal pubblico che sa unire passato e presente con lo stesso entusiasmo. Sarà anche protagonista di una fiction televisiva targata Rai. Pozzetto, ci intriga l'idea che nel film sia sposato con Ornella Vanoni. Come si è trovato? «Bene, è anche simpatica. Del resto doveva anche considerare che non eravamo pezze da piedi. Insomma il film prometteva bene. Insieme ci siamo divertiti a portare in scena una storia che piacerà al pubblico. L'attenzione era tutta lì. Siamo stati a cena insieme, abbiamo parlato. L'atmosfera del set era perfetta. Se il regista è abile l'attore è sempre ben disposto. Se non è all'altezza, diventa un problema». Ha incontrato registi «non all'altezza»? «Mi è capitato qualcuno che non era attento al set. Così vai al cinema a vedere il tuo film e scopri che non c'è quella atmosfera scritta sul copione, quella che uno si immagina». Cosa l'ha convinta ad accettare il ruolo offerto da Genovesi? «Ho letto la sceneggiatura, mi piaceva. Surreale, moderna, si avvicinava un po' al mio film Un amore su misura, in cui avevo creduto. È un film molto curioso, non batte la strada della commedia all'italiana, né del film di Natale. Bisio, oramai famosissimo, saprà difendermi, non ne vedrei altri al posto suo. Mi piace lavorare con lui, lo stimo da sempre. Abbiamo respirato la stessa aria». Milanesi a Napoli… «Bisio e Matano sono stati i più notati dalla gioventù, hanno milioni di contatti tra il pubblico. Però me la sono cavata anch'io. Conosco un po' Napoli, quella dei vicoli, ci avevo girato anni fa il film Giallo napoletano. Tornarci è stato piacevole», In genere come considera gli attori? «Figli dei tempi che vivono. Quando mi sono affermato c'era una certa Milano, ora c'è l'Expo. Dalla mia finestra vedo che tutto cambia, resta il parco delle Basiliche, il grattacielo che sta facendo la Fiera campionaria. Non si torna indietro, ma Milano rimane nel cuore. Come rimangono le gioie, i dolori, i sentimenti, senza questo tipo di esperienze non si costruisce il futuro». Pozzetto, cosa la fa ridere? «Mio figlio Giacomo, la persona più simpatica che conosco. Fa il produttore, ha due figli. Insieme alla sorella si interessano di pubblicità e fiction. Sono sempre stato per loro un buon amico a cui raccontare tutto, senza timore. Mi hanno dato grandi soddisfazioni e sono rimasti i miei, bravi ragazzi. Mi hanno regalato anche cinque nipoti che amo molto. Stiamo sempre insieme e abitiamo tutti nello stesso palazzo. Farò una fiction prodotta da loro». Titolo e ruolo? «Il papà della figlia del sindaco, girata per la Rai, con me e Nino Frassica protagonisti. È la storia di un signore che si mette alla ricerca della figlia data in affidamento. Una storia di rapporti e sentimenti, molto bella». Quando non lavora, che hobby ha? «Da poco tempo ho restaurato una vecchia cascina sul lago Maggiore. Si chiama Locanda Montecristo. Ho un ottimo cuoco. Se il tempo è bello, domani viene Billy Costacurta con la moglie Martina Colombari». Se si volta indietro, ha qualche rimpianto? «Ho sempre fatto film che le produzioni hanno apprezzato. Anche quelli che non mi volevano far girare. Ho lavorato, ho creduto in ciò che facevo. E che continuo a fare. Ma portare il mio cabaret dal teatro al cinema sarebbe stato entusiasmante. Purtroppo non ho trovato una distribuzione. Vedremo, tutto può accadere». di Annamaria Piacentini