Francesco Vaia i lettori di Libero lo conoscono bene: è stato il direttore generale dell’Istituto Spallanzani di Roma in quegli anni là, quelli bui della pandemia e dei lockdown, delle mascherine sul naso e delle restrizioni. Proprio su queste pagine ci ha aiutato a capire cosa stava succedendo da quel maledetto 2020 in avanti. «Lo dissi già allora», chiarisce adesso, subito: «Sul Covid si sono combattute troppe battaglie, sia geopolitiche che economiche. Noi che ci occupiamo di salute pubblica, se vogliamo fare un servizio per i cittadini, dobbiamo anzitutto ricordare che la scienza non dovrebbe essere mai tirata con la giacchetta da una parte né dall’altra. È una premessa doverosa. Detto questo, ci sono dei punti incontrovertibili che bisogna tenere a mente».
Dottor Vaia, nella memoria collettiva ci siamo lasciati tutto alle spalle. Però forse è proprio questa distanza temporale che ci consente di fare un bilancio ragionato. A cosa si riferisce?
«Partiamo dal primo dato: i primi casi di Covid-19 sicuramente si sono avuti in Cina. Non c’è nessun dubbio su questo. Possiamo discutere se siano stati di ottobre o di novembre, ma sul resto non ci piove. E in secondo luogo Pechino non ha collaborato, men che meno all’inizio dell’emergenza. È stato sempre “oscuro”, restio a condividere le statistiche e i report, e quando l’ha fatto l’ha fatto con grandissimo ritardo. Ma lei se lo ricorda quel febbraio di cinque anni fa?».
Io ricordo il paziente zero di Codogno, lo smarrimento, l’incertezza...
«Appunto. In Italia l’abbiamo saputo così. Il virus l’abbiamo seriato, isolato all’interno dello Spallanzani. La Cina non ha mai dato alla comunità scientifica la mappatura genica del virus di Wuhan. Guardi, vorrei essere chiaro: io non sono contro la Cina, da uomo di scienza parlo coi dati e non con le ideologie. Non mi interessa fare un discorso politico. Tuttavia c’è stato un ritardo molto colpevole da parte delle autorità cinesi e c’è stata anche un’opera di propaganda che non ha aiutato».
In che senso?
«Era stata messa in piedi una campagna tesa a enfatizzare delle misure che si sono dimostrate non efficaci e, anzi, lesive per la loro popolazione: i lockdown prolungati, con le persone prigioniere, sono stati disastrosi. Tanto più che a fine del 2022 c’è stata una nuova ondata, la quale fortunatamente non ha colpito l’Italia, e in Cina ci sono state centinaia di migliaia di morti. È difficile anche avere un numero preciso».
Lo è sempre stato, tra l’altro. Quelle imposizioni severissime, poi, non sono nemmeno servite a granché...
«Sì, perché non hanno consentito l’immunità ibrida che invece noi abbiamo vissuto e perché il vaccino cinese era meno performante rispetto a quelli occidentali. È un’altra cosa che bisogna dire se si vuole essere onesti. Se siamo usciti dalla pandemia è grazie a queste due cose qui. Le posso raccontare un aneddoto?».
Prego.
«C’è stata una coppia di cinesi ricoverata allo Spallanzani in quel periodo, erano anche persone importanti. Quando li abbiamo dimessi hanno detto: “Se non fossimo stati in Italia probabilmente noi non saremmo vivi”».
Ecco, forse basterebbe questo. Senta, la Casa Bianca rilancia la teoria della fuga dal laboratorio del virus. È credibile?
«È un’ipotesi. In tanti laboratori ci possono essere degli incidenti e magari questo c’è stato. Così come magari si tratta del classico spillover avvenuto al mercato. Non mi sento di escludere al 100% nessuna di queste due tesi. Quella della fuga non è smentita dalle analisi e dagli studi, ma non è neanche stata corroborata come certa».
Prima parlava della poca trasparenza che il regime di Pechino ha tenuto nella gestione della pandemia: aveva provato anche l’Oms a ottenere informazioni, ma era tornata a casa mani vuote. Sbaglio?
«No, non sbaglia. Era andata in questo modo. Ma dobbiamo anche sottolineare che c’è stata un’inerzia colpevole pure dell’Oms in quell’occasione perché non aveva espedito fino in fondo il suo dovere che era, secondo me, costringere la Cina a dare i dati».
Chiarissimo. Tutto questo, oggi, per noi qui a Roma o a Milano o perché anche a Codogno, come si declina?
«Io credo che arrivati a questo punto dobbiamo dirci che noi Italia siamo un Paese che è in grado di essere protagonista. Lo abbiamo dimostrato durante la pandemia e ce l’hanno riconosciuto tutti, persino i cinesi che ci hanno fatto i complimenti. Non siamo stati secondi a nessuno e vale la pena di ribadirlo di tanto in tanto».