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Mal di testa e mal di schiena cronici? Per farli passare basta una scossa elettrica, terapia rivoluzionaria

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Claudia Osmetti
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Un italiano su cinque soffre di dolori cronici. Mal di testa,mal di schiena, lombalgie e cefalee. Disturbi che magari iniziano in sordina, senza farsi notare troppo, però poi passano i mesi, consulti inutilmente un numero infinito di specialisti e loro stanno sempre lì. Col tempo diventano pureinvalidanti.Ma davvero siamo condannati a soffrire? Perché la scienza fa passi da gigante, alleviare i piccoli (e grandi) tormenti è una missione e, sì,la “terapia del dolore” è diventata una vera e propria specializzazione della medicina, che spesso riesce dove tutte le altre falliscono. «La maggior parte dei nostri pazienti, circa l’80percento,presenta patologie del sistema muscolo-scheletrico», chiarisce il professor Paolo Grossi, direttore dell’unità di Anestesia, rianimazione e terapia del dolore del Centro ortopedico traumatologico Pini-Cto di Milano. Grossi è uno che di dolore se ne intende: si è laureato nel 1979 con una tesi (ai quei tempi) pionieristica. «In quegli anni il dolore era considerato una forma di difesa del corpo, un semplice segnale d’allarme. Invece è un po’ più complicato di così». Sorride Grossi, mentre spiega con precisione cattedratica che, in realtà, «non è soltanto un sintomo, è anche la fonte di alcune malattie», ma che se c’è una cosa che abbiamo capito è che tutto questo non deve più spaventare: «Oggi - prosegue, - si può agire sul dolore e, quando non può essere eliminato del tutto, può comunque essere modulato».Considerazione che già suona come un sollievo.

 

 

Si può camminare megliocon la fampridina ‘retard'

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Lo studio ENABLE ha coinvolto 901 i pazienti, di cui 78 italiani in cinque centri  (Milano, Padova, Firenze, Roma, Bari). In Italia le persone affette da sclerosi multipla sono circa 68.000, 2.3 milioni nel mondo

La rivoluzione, in fin dei conti, sta tutta qui: è il diritto a non patire, ed è anche un cambio di paradigma: perché la "terapia del dolore" non mette più al centro la malattia, bensì il malato, cioè colui che soffre. «Ci sono diverse strade - continua Grossi quella più comune è la cura farmacologi ca». Fin qui, (quasi) nulla di nuovo: siamo abituati alle pillole, l'antinfiammatorio che prendiamo quando abbiamo un cerchio alla testa, senza andare troppo nei dettagli, agisce allo stesso modo. «I dottori che si occupa no del dolore, tuttavia, hanno anche altri strumenti. Possono effettuare interventi mini -invasivi come la stimolazione elettrica midollare, che è una sorta di "pacemaker" in grado di regolare il dolore. Certo, parliamo di una produzione elettrica bassissima, però in grado di produrre una nuvola di cariche che intercetta la percezione del dolore e inibisce la quantità di stimoli che arrivano al paziente. È una sorta di filtro».

Una "piccola scossa", per dirla con un'espressione da profani, niente più di un formicolio che "inganna" i nervi e ci fa stare meglio. Attenzione, tutto questo non si improvvisa: dietro c'è un personale addestrato (si tratta, in genere, dime dici anestesisti con una formazione specifica), ma il concetto è che il dolore si può controllare, un po' come il telecomando che abbassa il volume della televisione. Fantascienza? Macché, solo scienza. «Alle volte basta mettere ordine: ogni paziente ha il suo percorso, e la prima fase è quella diagnostica. La seconda è quella che io chiamo "del pompiere": prima si spegne l'incendio in corsa e poi si valuta cosa è successo. Per farlo è necessario confrontarsi con i colleghi delle diverse discipline, solo così si arriva a un quadro esaustivo». Il problema, semmai, è a monte: perché d'accordo, adesso finalmente sappiamo che la sofferenza si può trattare, ma allora quale numero di telefono dobbiamo comporre per richiedere queste cure?

 

 

 

 

Una decina di anni fa è stata in effetti varata una legge (la numero 38 del 2010) che stabilisce una volta per tutte il diritto di accesso alle cure palliative e, appunto, alla "terapia del dolore". «Quel lo che serve, ora, è una applicazione di questa legge a tutto tondo», rammenta Grossi: «Serve cioè un sistema organizzato, servono risorse, servono posti letto de dicati negli ospedali e medici specializzati. Ci si sta muovendo in questo senso, ma c'è ancora lavoro da fare». L'estate scorsa, infatti, la Conferenza Stato -Regioni si è espressa sull'accreditamento delle reti territoriali: «È un passo importante perché è stato deciso un codice ospedaliero (il numero 96, ndr) che non è ancora operativo, ma che lo sarà».

Nata nelle zone di guerra (in Paesi come Israele è la norma), l'applicazione della "terapia del dolore" non conosce limiti di età: «Può essere utilizzata sugli adulti e anche sui bambini - chiosa il professor Grossi, - quando i pazienti sono minorenni. Pensiamo ai tanti bimbi che purtroppo sono anche malati oncologici, per seguirli si affiancano pediatri e psicologi. E gli psicologi, spesso, devono seguire anche i genitori perché la "reazione a specchio", con i più piccoli è frequentissima».

 

 

 

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