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Coronavirus, "L'8 giugno 151mila ricoveri": gli esperti hanno sbagliato

Alessandro Gonzato
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Ieri, 8 giugno, stando alle previsioni dell'Istituto superiore di sanità fatte trapelare a fine aprile, doveva essere il giorno più nero dell'epidemia, con un totale di 151 mila ricoverati in terapia intensiva. L'apocalittico documento, di cui il Fatto Quotidiano aveva dato conto «in esclusiva», analizzava 92 (novantadue) possibili scenari in vista del 4 maggio, ossia l'inizio della "fase 2". In caso di riapertura quasi totale del Paese (cosa che di fatto è quasi avvenuta) - questo lo scenario peggiore preconizzato dagli esperti - il tasso di riproduzione del virus sarebbe schizzato alle stelle e le terapie intensive, dicevamo, si sarebbero trovate a gestire 151 mila persone, addirittura 430 mila entro il 31 dicembre. Il 3 aprile, giorno del picco, ce n'erano 4.068. Qualcuno, come la holding Carisma e i pochi mezzi di informazione non allineati, si era permesso di dubitare di tali spaventose cifre, in base alle quali - questi in sintesi i calcoli - in Italia ci sarebbero dovuti essere 150 milioni di cittadini di età superiore a 20 anni. Sennonché il professore Brusaferro, gran capo dell'Iss, aveva replicato: «Lo studio è basato sui dati (addirittura?), non ci sono errori». Fortunatamente i modelli matematici della ciurma governativa si sono rivelati affidabili come il pendolino del mitico Maurizio Mosca: ieri, 8 giugno, il numero di malati in terapia intensiva è sceso al minimo: 283 (-4 rispetto a domenica) e sebbene la crescita dei nuovi contagi (+280, zero in 7 regioni), il totale degli attualmente positivi è diminuito di altre 532 unità. 65 i decessi (zero in 11 regioni). Ribadiamo: quella del 4 maggio non è stata un'apertura totale. Scuole e hotel sono rimasti chiusi e bar e ristoranti hanno dovuto aspettare ancora due settimane per accogliere i clienti. E però il 4 maggio in alcune regioni come Lombardia e Veneto le industrie e gli uffici hanno ricominciato a lavorare a pieno regime, idem l'edilizia e numerosi settori del commercio. Sono ripartiti ovunque i mezzi pubblici, i familiari hanno ripreso a incontrarsi, i congiunti a ricongiungersi. In base alle previsioni di Palazzo Chigi, dunque - pur ricalcolando tutto al ribasso - oggi in terapia intensiva dovrebbero esserci quantomeno qualche migliaia di persone. Ma ci sono modelli e modelli matematici: quello della Regione Veneto, ad esempio, ha sbagliato poco o nulla, e ciò ha aiutato il presidente Zaia ad affrontare al meglio l'emergenza. Che il governo abbia preso più o meno volontariamente una cantonata non lo diciamo solo noi, ma soprattutto chi ne sa decisamente di più, come il virologo Guido Silvestri, professore alla Emory University di Atlanta, che l'altra notte su Facebook ha scritto: «Dopo 34 e 20 giorni dalle "aperture" di maggio non c'è alcun segno di quel ritorno della pandemia che certi esperti davano per scontato».

 

 

L'incremento di infezioni registrato ieri, peraltro bilanciato dal numero doppio di guarigioni, non può far testo. «Prima del 4 maggio» ha continuato Silvestri «questi esperti, basandosi su modelli matematici, hanno detto al Paese: "Sappiate che non appena si riapre i casi sicuramente saliranno, di poco se riapriamo un po', e tantissimo se riapriamo molto". In altre parole ci aspettava un disastro. Le cose sono andate come sappiamo, e questo mostra come questi modelli siano stati inadeguati a prevedere l'andamento reale dell'epidemia. Senza fare polemiche, perché ognuno fa del suo meglio» ha concluso il professore «credo sia giusto verso i cittadini italiani, che per mesi hanno compiuto sacrifici durissimi, ammettere questo fatto e promettere che tali modelli non saranno più usati per prendere decisioni politiche, ad esempio sulle scuole». Altro scenario delineato dall'Iss in collaborazione con la Fondazione Kessler: riaprendo tutto il 4 maggio, senza telelavoro e con le scuole chiuse, l'8 agosto ci sarebbero state 110 mila persone in terapia intensiva. Nello stesso documento venivano manifestate «incertezze sul valore dell'efficacia dell'uso di mascherine per la popolazione generale dovuta a una limitata evidenza scientifica, sebbene le stesse siano ampiamente consigliate». Ci avvicinavamo alla fine del mondo e questi non avevano ancora capito se le mascherine servivano.

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