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Coronavirus, Il cardiologo Giampaolo Palma aveva capito tutto: "La polmonite non c'entra". Quello che hanno sempre nascosto

Renato Farina
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Preambolo. Qui non si danno ricette miracolose. Non si candida nessuno al Nobel. Si racconta la storia semplice in questi tempi complicati di Coronavirus. Semplice, e perciò molto istruttiva. Il protagonista, dottor Giampaolo Palma, è un medico che ha intuito e tracciato da pioniere una strada semplice e oggi universalmente accreditata per sfuggire alla presa mortale del Covid-19. C'è un problema. Ha agito senza chiedere il permesso alle lobby di scienziati in coda nei comitati governativi, né garantendosi appoggi mediatici. Mi ero segnato il suo nome il 3 maggio scorso. In un articolo sul Fatto, la professoressa Maria Rita Gismondo, direttore di microbiologia clinica e virologia del Sacco di Milano, scriveva: «Per due mesi abbiamo rincorso i posti letto in rianimazione, abbiamo parlato di polmonite interstiziale, oggi le autopsie ci fanno scoprire ben altro». Ed ecco la citazione di un medico ignoto al grande pubblico, mai visto in tivù: «Questa ipotesi era già stata avanzata dal dottor Palma, cardiologo di Salerno, tra le critiche dei soliti soloni mediatici». Passano le settimane e accade quanto sappiamo. I reparti di terapia intensiva si svuotano. Applicando l'"ipotesi Palma", avversato dai luminari a cui si era fulminata la lampadina, ci sarebbero stati meno morti? Di certo, dopo sono stati molto meno. Mi aspettavo di trovarlo tra i 53 neo-cavalieri indicati dal Quirinale come eroi. Niente. Forse nella dimenticanza avrà pesato un articolo di Le Monde, dove Palma è dileggiato come il solito italiano ciarlatano, che incanta (a milioni) gli ignoranti del Web, ma per gli spiriti parigini è un abusivo da non invitare al ballo in mascherina. Be', il caso si è fatto interessante. Gli telefono. la notte Giampaolo Palma, mi spiega, è cardiologo per stirpe antica (lo era il padre), titolare e direttore di un centro clinico a Salerno accreditato, un'eccellenza campana nel ramo cuore e circolazione. È da 23 anni che esamina, ausculta, diagnostica, prescrive terapie e accompagna nelle difficoltà e negli spaventi quotidiani chi ha problemi cardiaci, vascolari, eccetera. È consapevole di essere diventato famoso, e nello stesso tempo sa di essere stato confinato nei quartieri del web oscurati da lorsignori. Non che sia particolarmente felice di questi strascichi di popolarità planetaria. Non ha strumenti per controllare l'uso del suo nome e del suo volto sul web. Le sue tesi sono state esaltate ma anche deformate. Qui precisa: «Non sono nemico del vaccino. Ma quando mai: magari lo si trovasse. Non ho mai teorizzato l'inutilità dei respiratori. Guai se non ci fossero stati». «Tutto nasce», racconta, «in una certa notte del mese di aprile, dopo ore passate a leggere e rileggere appunti e a non poter prendere sonno». Che gli accadde? Ebbe un'intuizione diagnostica. Uno dei primi Nobel per la medicina, Alexis Carrel, spiegò il fenomeno con parole che sono il sigillo di una scienza empirica qual è la medicina, ma forse anche succo di sapienza esistenziale: «Poca osservazione e molto ragionamento conducono all'errore; molta osservazione e poco ragionamento conducono alla verità». Palma aveva molto osservato. Ed ecco la scoperta elementare. Il Covid-19 non è una polmonite interstiziale doppia. Questo virus non provoca la polmonite, ma coaguli dappertutto. Bisogna fare in modo che appena insorgono i sintomi, ci si curi a casa con anticoagulanti, antinfiammatori eccetera. Può essere che altri clinici abbiano coltivata questa tesi, ma prevedendo alterchi con virologi gelosi del territorio, si siano astenuti dalle controversie onde evitare frecce avvelenate. Nel dottor Palma prevalse la necessità interiore di comunicare. Non aveva il diritto di tacere. Andò al computer, e scrisse sulla sua pagina di Facebook un post. Ha avuto da quel momento milioni di accessi, rimbalzando con la sua faccia nei cinque continenti. Cosa vide quella notte davanti a sé?, gli chiedo alle due di notte, prima non poteva, mentre sta limando l'articolo scientifico che sarà pubblicato a giorni su una rivista di rango internazionale. Risponde: «Quello che vedevamo a fine marzo, nel culmine della tempesta virale, era l'assalto letale di una polmonite dalla carica virale fortissima: tra le prime difficoltà respiratorie in un'ora e mezza i pazienti erano trasferiti in terapia intensiva. Mai esistite polmoniti così. Mi chiedevo: e se fosse altro?

 

 

 

 

Un pomeriggio di inizio aprile, mi sono collegato in conferenza con cardiologi e pneumologi intensivisti del Sacco di Milano e del Giovanni XXIII di Bergamo. Rimasi incantato dai referti anatomo-patologici delle prime autopsie: i tessuti polmonari ma anche quelli cardiaci; e poi il cervello, i reni, l'intestino tenue erano infarciti di coaguli. Ad essere attaccate erano le cellule endoteliali e i pericliti, che rivestono i vasi sanguigni del miocardio e del cervello oltre che quelli polmonari». la morale Da qui il lampo. «Non potevo dormire. Di notte scrissi la mia intuizione su Facebook. Proteggiamo l'apparato vascolare, proposi». Dopo di che? «Nel mondo si diffuse in un battibaleno tra i medici. Tra i soloni smorfie di disappunto. Finché Lancet confermò la giustezza della mia tesi, l'Aifa approvò gli anticoagulanti, la Società europea di cardiologia ha riconosciuto la mia terapia». Il Policlinico di Zurigo dopo aver accettato la tesi di Palma sulla ipercoagulazione ha potuto ridurre di molto gli accessi alla terapia intensiva. «Mi accusano di non aver dato forma rigorosa alla mia ipotesi. Non importa che essa funzioni. Ora, se mi lascia cortesemente lavorare, finisco l'articolo». Prima però gli chiedo l'elenco dei Paesi da cui gli hanno chiesto collaborazione e lo hanno ringraziato. «Vado a senso. In ordine di apparizione. Giappone, Perù, Argentina, Brasile, Belgio, Francia, Senegal». E ancora: che morale trarre? «Credo si debba anche da parte del governo prendere più in considerazione i clinici, che curano i pazienti tutti i giorni, che certi parrucconi sempre in tivù». Il virus è morto? «Non sarei così ottimista».

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