Annese: “Biosimilari,a orservono nuovi dati di efficacia e sicurezza”

Intervista con il professor Vito Annese, Direttore del reparto di Gastroenterologia dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Careggi di Firenze
di Maria Rita Montebellidomenica 20 luglio 2014
Annese: “Biosimilari,a orservono nuovi dati di efficacia e sicurezza”
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Le attuali norme sui biosimilari emanate a livello europeo e nazionale, ribadiscono che “un medicinale biosimilare è essenzialmente simile ma non identico al medicinale biologico di riferimento”. Quali sono le implicazioni nelle gestione clinica dei pazienti? Come si sa, per l’utilizzo dei farmaci, inclusi i biosimilari, siamo obbligati a raccogliere un consenso informato che presuppone da parte del medico un’informazione esaustiva sul medicinale che intende prescrivere da trasmettere al paziente. In realtà al momento attuale non abbiamo queste informazioni in quanto non sono stati condotti studi clinici per le patologie gastrointestinali a supporto dei dati di efficacia e sicurezza. Non abbiamo al momento nessuna esperienza diretta, è quindi difficile poter trasferire le indicazioni terapeutiche con certezze sui rischi e sui benefici. È questo il motivo per cui ogni Agenzia regolatoria si comporta in maniera diversa in materia, ammettendo sempre un certo margine di discrezionalità. Uno dei punti di maggiore dibattito è rappresentato dalla possibilità, in base al regolamento EMA, di ‘trasferire’ al biosimilare le indicazioni approvate per il farmaco originatore - la cosiddetta estrapolazione - anche in assenza di studi diretti. Qual è il Suo punto di vista su questo aspetto? L’estrapolazione potrebbe avere implicazioni nella gestione clinica del paziente? La problematica è duplice: da un lato c’è il paziente al quale si propone un trattamento per il quale il medico non ha nessuna evidenza diretta circa l’efficacia, dall’altro c’è il paziente che è in trattamento con l’originatore ma si potrebbe trovare nella condizione di passare dal biologico al biosimilare senza sapere con certezza se ci sarà una perdita di efficacia e di sicurezza. Mancando le prove di efficacia e sicurezza, il passaggio va filtrato dal buon senso clinico e dall’esperienza che necessita di tempo. Il Position Paper AIFA sui farmaci biosimilari è molto chiaro circa la centralità della libera decisione prescrittiva, ribadendo che “la scelta dei trattamenti rimane una decisione clinica affidata al medico prescrittore”. Considerata la varietà delle norme regionali relative all’impiego dei biosimilari, esiste a suo avviso il rischio che questa indicazione di AIFA possa essere disattesa per esigenze di risparmio? Quali i rischi di una sostituibilità automatica? Il rischio esiste ed è grande perché il medico potrebbe essere messo sotto pressione da un budget che non deve sforare. A tal proposito abbiamo molti casi già accaduti in diverse regioni e che potremmo portare ad esempio. La sostituibilità automatica che noi medici non auspichiamo di certo, pone un gravoso problema di deontologia medica di non poco conto: il medico potrebbe essere costretto a sostituire il farmaco biologico che funziona con uno di cui non si sa quasi niente. Con riferimento alla disponibilità di dati clinici pubblicati e all’esperienza post-commercializzazione dei biosimilari, ritiene che esistono differenze significative di impiego allo stato attuale tra i biosimilari di prima generazione utilizzati per patologie in acuto, e i biosimilari degli anticorpi monoclonali di seconda generazione, utilizzati per le patologie croniche, di prossimo ingresso sul mercato? Ci sono senza dubbio differenze. È un problema di molecole, quelle dei biosimilari di prima generazione sono molto più semplici, più facilmente riproducibili. I biosimilari di seconda generazione sono costituiti da molecole più complesse e di conseguenza anche la valutazione in vitro della similarità è diversa. Naturalmente anche gli originatori nel tempo hanno subito modifiche per i cambiamenti avvenuti nel corso degli anni all’interno del ciclo di produzione; un esempio, l’infliximab che usiamo oggi, quanto è uguale al farmaco di quindici anni fa? In tal senso dobbiamo però ammettere che EMA ha molto vigilato. Per chiudere, ritiene che il paziente in trattamento abbia diritto alla continuità terapeutica o quanto meno a essere coinvolto nelle scelte che prevedono lo switch dal biologico al biosimilare? Assolutamente sì. La continuità terapeutica è un diritto ed è imprescindibile il coinvolgimento del paziente. Il punto è che dobbiamo informarlo su un fatto essenziale, cioè che non disponiamo di dati sufficienti per i biosimilari. Ora, se il curante e il paziente non si sentono garantiti per motivi diversi, non devono essere obbligati a cambiare farmaco per una mèra questione economica. Siccome i biosimilari di seconda generazione faranno il loro ingresso sul mercato tra marzo e aprile del prossimo anno, noi auspicheremmo l’inizio di uno studio controllato che preveda una tracciabilità per il biosimilare impiegato, con pazienti che lo usano per la prima volta. (I. S.)