Fibrillazione atriale, oranuovi anticoagulanti orali

La fibrillazione atriale è la forma più diffusa di aritmia cardiaca che colpisce in Italia 1 milione di persone con il rischio 5 volte maggiore rispetto a chi non ne è colpito di incorrere in ictus cerebrale
di Maria Rita Montebellidomenica 6 aprile 2014
Fibrillazione atriale, oranuovi anticoagulanti orali
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Nel nostro Paese dei 200 mila casi di ictus mediamente stimati ogni anno, circa 36 mila sarebbero imputabili alla Fibrillazione Atriale. Le misure preventive in base alle attuali linee guida internazionali raccomandano l’applicazione di un efficace regime terapeutico, attraverso una terapia anticoagulante. Purtroppo le cure riservate ai pazienti affetti da Fibrillazione Atriale non sono adeguate, questo è dovuto ai limiti della profilassi farmacologica finora utilizzata (antagonisti della vitamina K) tanto che in questa patologia il numero dei pazienti con maggior bisogno clinico non soddisfatto è tra il 50 e il 65% del totale. Attualmente sono disponibili anche nel nostro Paese i nuovi anticoagulanti orali, come il rivaroxaban, dabigatran e apixaban, più maneggevoli e sicuri, in grado di migliorare la qualità di vita dei pazienti e trovare un punto di incontro tra questi e i loro medici. Non richiedono controlli ematici, sono somministrati a dosaggio fisso, hanno scarsissima probabilità di interazioni con alimenti e altri farmaci, presentano ridotto rischio di emorragie cerebrali rispetto alla terapia tradizionale. Questi trattamenti sono una risposta più efficace per la prevenzione dell’ictus, quantificabile in circa 11.000 casi evitabili all’anno, che corrisponderebbero a un risparmio per il Servizio Sanitario Nazionale di circa 230 milioni di euro per anno. “Anche se con la nuova classe farmacologica ci aspettiamo una maggior copertura nella profilassi, i problemi principali che rendono ancora difficile spezzare la relazione tra Fibrillazione Atriale ed ictus sono essenzialmente tre – dichiara Giuseppe Di Pasquale, Direttore dell’Unità Operativa di Cardiologia dell’Ospedale Maggiore di Bologna – Innanzi tutto siamo ancora in presenza di una sottodiagnosi della patologia, dal momento che l’aritmia può essere poco sintomatica, soprattutto negli anziani. Esiste, inoltre, sia da parte dei medici, che della popolazione e dei pazienti affetti da fibrillazione atriale una ridotta consapevolezza del rischio di ictus connesso alla malattia. Questo comporta un sottotrattamento, come evidenziato dallo studio italiano ATA-AF, dal quale risulta che la percentuale dei soggetti con Fibrillazione Atriale a rischio di ictus nei quali viene prescritta una terapia anticoagulante orale è solo del 55%, ed ancora meno nei soggetti di età maggiore dei 75 anni. Inoltre, nei soggetti trattati, la qualità del trattamento non è ottimale, come dimostrato anche da un recente studio italiano.” Health Technology Assessment (HTA). Il progredire delle tecnologie innovative con l’ausilio di farmaci di ultima generazione, strumenti diagnostici, procedure chirurgiche evolute hanno apportato benefici rilevanti per i pazienti consentendo un miglioramento notevole in termini di efficacia e di qualità delle terapie. “E’ sempre più importante poter orientare l’adozione delle innovazioni, sviluppando sistemi di valutazione dell’appropriatezza – afferma Gianfranco Gensini, Presidente del Comitato Consultivo Scuola Scienze della Salute Umana dell’Università degli Studi di Firenze(Cossum)  e Vice Presidente 1° Sezione Consiglio Superiore di Sanità del Ministero della Salute - attraverso azioni finalizzate sia ad affrontare i problemi emergenti e in particolare a dismettere procedure e interventi di incerta utilità, secondo la linea del progetto “choosing wisely” attivo negli U.S.A, sia ad avviare un deciso cambiamento culturale e organizzativo che garantisca scelte strategiche e operative appropriate per il futuro. Per raggiungere questi obiettivi esistono sia a livello ministeriale che delle Regioni strumenti, risorse umane e scientifiche dedicate a questa funzione ormai fondamentale, ma il nostro Paese non si è ancora dotato di una struttura di riferimento che valuti in modo sistematico le nuove tecnologie sanitarie. Credo che muoversi per creare una rete di competenze che possa lavorare in questa direzione sia una necessità ormai improcrastinabile”. L’HTA – Health Technology Assessment, nasce come strumento di valutazione multidisciplinare per fornire una risposta operativa al divario tra le scarse risorse del Servizio Sanitario, la crescente domanda di salute e l’innovazione tecnologica, esaminando gli aspetti clinici, economici, organizzativi, etici e sociali relativi all’introduzione di una nuova tecnologia. E’ stato presentato a Milano il progetto, organizzato da About Pharma and Medical Device con il contributo di Bayer, che ha dato vita a una valutazione HTA per documentare il valore dei nuovi anticoagulanti orali – il rivaroxaban - nella prevenzione dell'ictus in pazienti affetti da Fibrillazione Atriale non valvolare, che ha visto la partecipazione dell’Istituto di Sanità Pubblica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma. “All’interno del Report sono presenti analisi farmaco-economiche condotte allo scopo di valutare quanto e come l’ingresso della molecola all’interno del contesto nazionale e regionale influisca sul numero di eventi, complicanze e costi – afferma Silvio Capizzi dell’Istituto di Sanità Pubblica dell'Università Cattolica di Roma – I risultati delle analisi dimostrano, nell’arco temporale di tre anni, come l’introduzione di rivaroxaban, con quote di mercato incrementali (dall’8% nel primo anno, fino al 30% nel terzo anno) consenta di ridurre gli eventi di ictus, embolia sistemica e infarto del miocardio con un risparmio complessivo di risorse sanitarie, nonostante un incremento della spesa farmaceutica. Nello specifico, in questo scenario – conclude Capizzi - per quanto riguarda la riduzione degli ictus abbiamo stimato nel primo anno - 642 eventi, nel secondo anno – 1.636 e nel terzo anno - 2.504. Per quanto riguarda il risparmio complessivo a carico del SSN, dovuto all’introduzione di questa molecola, possiamo parlare di 7 milioni di euro nel primo anno, 19 milioni di euro nel secondo anno e 32 milioni di euro nel terzo anno.” E’ altresì importante creare i presupposti per accedere in modo uniforme alla terapia “Per garantire l’introduzione e l’accesso di tutti i cittadini alle innovazioni tecnologiche in sanità – dichiara Sabrina Nardi, Vice Coordinatore Nazionale del Tribunale dei Diritti del Malato/Cittadinanzattiva - lo strumento ‘principe’ da adottare è l’Health Technology Assessment, che deve essere basato su un approccio multidisciplinare e multidimensionale dell’innovazione stessa. Questo significa che devono essere presi in considerazione tutti gli aspetti e coinvolti tutti gli attori: le istituzioni che governano la spesa ma anche le associazioni dei cittadini e dei pazienti. In tema di HTA, poi, - continua Nardi – è necessaria una regia nazionale, che dia indicazioni precise e omogenee su tutto il territorio nazionale, per evitare che la frammentazione a livello regionale incida negativamente sul tema dell’equità di accesso alle cure, che oggi è un tema di particolare criticità”. Disease Management Optimization (DMO). E’ un altro importante strumento di analisi di nuova generazione in grado di monitorare il sistema sanitario delle regioni e fornire nuovi modelli organizzativi nella gestione di patologie ad alto impatto socio-economico. “Le esperienze realizzate negli ultimi tre anni con il DMO (Disease Management Optimization) - dichiara Marco Volpe, Head of Life Sciences Division, Business Integration Partners - ci hanno dimostrato che si può vincere la sfida di assicurare a questi pazienti un’assistenza migliore e l’accesso alle nuove terapie disponibili, tutto ciò attingendo ai valori già presenti nel sistema. Il DMO applicato al paziente con Fibrillazione Atriale a rischio di ictus - continua Volpe - ci ha permesso di costruire il frame work della gestione di questa patologia: prevenzione, diagnosi della FA, terapia farmacologica e interventistica, presa in carico del paziente con ictus e percorsi riabilitativi. Con un modello di analisi costruito ad hoc abbiamo correlato le principali variabili epidemiologiche, cliniche, organizzative ed economiche ed identificato le leve di miglioramento. Le positive esperienze realizzate con il DMO in Puglia, Toscana e Sicilia hanno dimostrato che le specificità locali non sono una barriera. In ciascun contesto - conclude Volpe - è possibile identificare una o più modalità d’azione ed intervenire per gestire al meglio la FA, ridurre il numero di ictus, i tassi di mortalità e di disabilità, il tutto senza richiedere ai sistemi sanitari investimenti aggiuntivi. Gli interventi posso essere campagne di screening mirato, protocolli per la gestione delle aritmie, percorsi per potenziare l’appropriatezza, sviluppo di modelli hub & spoke delle stroke unit, per fare solo alcuni esempi. In tutti i casi analizzati sono emersi sempre spazi di miglioramento sostenibile.” (GIOIA TAGLIENTE)