Fibrillazione Atriale Non Valvolarecure non omogenee tra i diversi Paesi

di Maria Rita Montebellidomenica 7 settembre 2014
Fibrillazione Atriale Non Valvolarecure non omogenee tra i diversi Paesi
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I cardiologi trattano ‘abbastanza bene’ i pazienti affetti da Fibrillazione Atriale Non Valvolare (NVAF), ma potrebbero fare meglio. E’ questa, in estrema sintesi, la conclusione cui è giunta una survey on line realizzata dalla giapponese Daiichi Sankyo insieme alla Società del Ritmo Cardiaco tra luglio e Agosto di quest’anno tra 1100 cardiologi di sette paesi (Brasile, Francia Germania, Giappone, Spagna, Regno Unito e USA) con l'obiettivo di individuare le criticitià del settore prendendo in esame la gestione della Fibrillazione Atriale Non Valvolare e il rischio di sanguinamento, la ‘storia’ dello stroke emorragico e le eventuali complicanze del paziente. L’indagine ha anche evidenziato che nella gestione della terapia anticoagulante per la prevenzione dell'ictus nei pazienti con NVAF, il fattore più importante nella scelta del trattamento per la prevenzione dell'ictus è il profilo di efficacia generale del farmaco. "Daiichi Sankyo ha collaborato con la Heart Rhythm Society in questa survey internazionale per capire meglio le prospettive dei cardiologi per quanto riguarda i pazienti con NVAF e i diversi problemi nella gestione di questa malattia - ha commentato Wolfhard Erdlenbruch, direttore esecutivo Medical Affairs di Daiichi Sankyo – si tratta di risultati che sottolineano inoltre che un approccio ‘uguale per tutti’ non è certamente il modo ideale di gestire i pazienti con NVAF". “Una quota significativa di pazienti con NVAF che dovrebbero ricevere un trattamento per l'anticoagulazione non sta ricevendo alcuna terapia anticoagulante orale (OAC) - ha premesso Hugh Calkins, ultimo Past President della Heart Rhythm Society, parlando della survey – mentre un altro dato particolarmente importante è che nei paesi presi in esame quasi tutti i cardiologi hanno riferito che i pazienti NVAF probabilmente hanno ‘sofferto’ un ritardo nella diagnosi". I risultati dell’indagine. Una fotografia con chiari e scuri differenti da paese a paese, con qualche risposta ‘plebiscitaria’: per esempio tutti i cardiologi (98%) ritengono che nei pazienti NVAF si può facilmente verificare un ritardo nella diagnosi, soprattutto perché sono asintomatici (86%), ma anche a causa della scarsa consapevolezza tra i medici di base, medici di medicina generale (40%) e, in parte, degli stessi pazienti(36%). L'indagine ha anche esplorato i bisogni insoddisfatti nella gestione della NVAF, tra cui in primis un coordinamento degli interventi assistenziali e il ruolo del caregiver. Sempre secondo il sondaggio l'84% dei cardiologi crede che l’assistenza coordinata tra gli operatori sanitari sia importante per la gestione della NVAF, ma solo un terzo degli intervistati (33%) ritiene che questo tipo di approccio ‘integrato’ per la gestione della NVAF sia oggi nei vari paesi ad un livello adeguato. Purtroppo gli stessi cardiologi riferiscono che poco meno della metà dei loro pazienti con NVAF hanno un caregiver e i tre quarti degli intervistati (73%) ritengono che i loro pazienti con un caregiver sono in grado di gestire meglio la loro condizione di quelli senza 'badante'. (ANDREA SERMONTI)