Quale diffusione ha il carcinoma a cellule renali? Come è cambiata la storia naturale di questo tumore con l’avvento delle nuove terapie? Il carcinoma a cellule renali (mRCC) è un tumore relativamente infrequente, infatti rappresenta il 2-3% di tutti i tumori solidi dell’adulto. Nel 25% dei casi viene diagnosticato quando è in fase di malattia avanzata ma un altro 25% di casi con tumore localizzato in seguito sviluppa metastasi. Negli ultimi 6-7 anni l’avvento dei farmaci a bersaglio molecolare ha modificato in modo radicale la storia naturale di questa patologia con un cambio di rotta nel trattamento, nella sopravvivenza e nella qualità di vita dei pazienti: quando si utilizzavano le sole citochine la sopravvivenza in caso di malattia avanzata era di un anno circa con un controllo di malattia sporadico; oggi, con i farmaci di cui disponiamo e i trattamenti chirurgici palliativi (nefrectomia palliativa, metastasectomia), che consentono un miglioramento delle condizioni generali e della speranza di vita, la possibilità di controllare in modo adeguato la malattia (ottenendo cioè una riduzione o stabilità), è cresciuta fino al 70-75% dei casi. Riguardo alla prognosi non possiamo parlare di guarigione quanto piuttosto di cronicizzazione, tanto che negli ultimi 7 anni la speranza di vita di questi pazienti è quasi triplicata, passando dai 12-14 mesi dell’epoca pre-targeted therapy ai 28-34 mesi attuali. Un punto di svolta nel trattamento del mRCC è stato rappresentato dall’avvento di sunitinib, che oggi è il farmaco più utilizzato: quali sono i vantaggi emersi nella pratica clinica in termini, oltre che di efficacia, anche di tollerabilità prevedibile e maneggevolezza? Sunitinib è attualmente la terapia maggiormente utilizzata per il trattamento del carcinoma renale in fase avanzata (metastatico). Il farmaco è un inibitore orale di alcune tirosin-chinasi avente come bersagli molecolari diversi target tra cui i recettori 1, 2, 3 di VEGF (Vascular Endothelial Growth Factor) e i recettori alfa e beta di PDGF (Platelet-Derived Growth Factor). Rispetto ad altri farmaci disponibili, sunitinib è quello per il quale disponiamo di più dati e che ha cambiato, più di altri, radicalmente il trattamento di questa patologia. Lo studio registrativo di Fase III ne ha dimostrato l’efficacia e la buona tollerabilità come farmaco di prima linea; oltre il 30% dei pazienti risponde a sunitinib con una riduzione importante della malattia, mentre un controllo globale di malattia si ha nel 70% dei casi. Dall’inizio del 2014 è disponibile una nuova opzione terapeutica per il trattamento di seconda linea del carcinoma renale metastatico: axitinib. Vista la sua esperienza, qual è la percezione del prodotto in termini di efficacia e tollerabilità? L’esperienza clinica di questo farmaco è senz’altro positiva. Axitinib è un inibitore della tirosin-chinasi registrato per l’utilizzo come terapia di seconda linea che nell’ambito dello studio AXIS ha dimostrato un’attività superiore a quella di altri farmaci. Quanto all’effetto collaterale più dibattuto, l’ipertensione, che è comune d’altra parte a tutti gli inibitori della tirosin-chinasi, i dati più recenti sembrano ipotizzare che tale effetto, se ben controllato, possa essere addirittura l’espressione di una maggior efficacia del farmaco. Nel complesso il profilo di tollerabilità del farmaco è buono ed il controllo di malattia rilevante, superando in alcuni studi e in settings particolari i 12 mesi. Axitinib agisce in particolare inibendo i recettori del VEGF, ma anche su altri bersagli molecolari. La sua potenza intrinseca ne consente l’impiego in seconda linea anche dopo un precedente trattamento con un farmaco particolarmente attivo e della stessa classe come sunitinib. Secondo quali modalità vengono scelti i diversi farmaci? Dal momento che non abbiamo fattori predittivi di risposta, a differenza di altre patologie oncologiche, e che l’efficacia di questi farmaci è sovrapponibile, la chiave di scelta del farmaco più appropriato per il singolo paziente è rappresentata dalla valutazione combinata della tossicità di ciascun farmaco, dalla presenza di eventuali comorbilità e dalle condizioni generali del paziente, abbiamo analizzato questi parametri in un nostro lavoro recentemente pubblicato. Considerato che la scelta si basa sui rischi derivanti dall’interazione tra elementi del farmaco e del paziente, il monitoraggio e la gestione appropriata dei possibili effetti collaterali derivanti dall’uso dei farmaci prescelti rappresenta, ovviamente, un punto fondamentale. Come si evolverà la pratica clinica alla luce delle nuove opzioni terapeutiche e di quelle in sviluppo? Nei prossimi anni contiamo di avere nuove e concrete opportunità terapeutiche. In questi ultimi due anni si è rinnovato l’interesse per anche l’approccio immunoterapico sul quale sono in corso studi che seguono diverse strategie di modulazione del sistema immunitario e che potrebbero cambiare di nuovo la pratica clinica. Per il momento possiamo solo cercare di personalizzare al massimo le scelte sulle terapie disponibili cercando di capire quel è il paziente più adatto ad axitinib o ad altre opzioni terapeutiche di seconda linea, sperando che questo lavoro si traduca in una diminuzione degli insuccessi terapeutici e degli effetti collaterali e in una ottimizzazione dei risultati clinici possibili con le terapie attuali. (ISABELLA SERMONTI)