Cancro: troppi gli 'unmetneed'"I politici non stiano a guardare"

La politica è chiamata a far fronte comune nella lotta contro i tumori, per questo motivo Salute donna onlus ha indetto un confronto su quattro macro temi di fondamentale importanza per i pazienti
di Maria Rita Montebellidomenica 11 febbraio 2018
Annamaria Mancuso, presidente di Salute donna onlus

Annamaria Mancuso, presidente di Salute donna onlus

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Ci sono battaglie talmente importanti da far superare qualsiasi differenza. È il caso della lotta ai tumori, un impegno che non conosce bandiera e che vede uniti schieramenti e partiti anche molto lontani tra loro, anche grazie all’impegno di Salute donna onlus e delle 17 associazioni di pazienti oncologici e onco-ematologici che hanno dato vita a ‘La salute: un bene da difendere, un diritto da promuovere’. Si tratta di un movimento di advocacy per la tutela dei diritti dei pazienti oncologici e onco-ematologici, ormai divenuto interlocutore di riferimento a livello politico-istituzionale grazie al varo di un 'Accordo di legislatura 2018-2023'. ‘La salute: un bene da difendere, un diritto da promuovere’ ha creato un vero e proprio programma politico sull’oncologia che è ribadito e rilanciato agli schieramenti politici in corsa per le elezioni: “migliorare la vita di milioni di persone che lottano contro il cancro è la ragione d’esistere delle nostre associazioni e l’obiettivo della nostra iniziativa – afferma Annamaria Mancuso, presidente di Salute donna onlus – chiediamo dunque a tutti i politici che daranno vita alla prossima legislatura l’impegno a riportare al centro delle politiche sanitarie e delle programmazioni istituzionali gli unmetneed needs dei pazienti oncologici e delle loro famiglie”. In piena campagna elettorale tuttavia sono molte le associazioni di pazienti che denunciano scarsa attenzione da parte dei politici in lizza alle politiche sanitarie indirizzate alle malattie oncologiche, la cui incidenza è in preoccupante ascesa: sono più di 3 milioni gli italiani che hanno ricevuto una diagnosi di cancro e circa 370 mila i nuovi casi ogni anno. Per permettere un confronto sul tema è stato dunque organizzato un incontro a Roma nei giorni scorsi, all'Accademia di San Luca. Qui alcuni membri dei partiti in lizza per le elezioni del 4 marzo sono stati chiamati a rispondere su quattro aspetti di sofferenza del ‘Sistema salute’ del nostro paese che racchiudono idealmente tutti i punti dell’Accordo: disparità regionale della qualità dell’assistenza che riguarda quasi un 1 milione di cittadini; Fondo sanitario nazionale in discesa rispetto al 6,5 per cento del Pil della media europea; prevenzione primaria da migliorare per arginare l’incidenza del cancro che aumenta dell’1 per cento ogni anno; carenza stimata di circa 1 milione di operatori sanitari per il 2020. Le differenze regionali. La marcata differenziazione di attività, risultati e qualità dell’assistenza sanitaria tra le regioni penalizza poco meno di 1 milione di cittadini italiani e riguarda sia le aree ad alta attività dove sono attivate cure non necessarie, sia quelle a bassa attività, con Lazio, Campania e Calabria ai primi posti, da dove le persone malate – e spesso anche le loro famiglie – sono costrette a spostarsi per ricevere cure adeguate. Inoltre l’accesso alle cure è ritardato da lungaggini burocratiche. Dopo l’approvazione dell’Agenzia europea dei medicinali (Ema) passa almeno un anno per il riconoscimento nazionale e un tempo ulteriore, diverso da regione a regione, per mettere a disposizione dei pazienti le terapie innovative. “Sulle questioni di importanza fondamentale, come quelle che riguardano la cura dei pazienti oncologici – sottolinea Adele Leone, presidente dell’Alleanza contro il tumore ovarico Bari (Acto) – non devono esserci divergenze regionali così impressionanti come purtroppo ci sono oggi: il primo, fondamentale passo per livellare le diseguaglianze e limitare la mobilità passiva è l’applicazione dei percorsi diagnostico-terapeutici assistenziali (Pdta) in modo omogeneo su tutto il territorio nazionale, così come auspicato dall’Accordo”. Un fenomeno, questo della mobilità passiva, che ha una voce di spesa di oltre 4,3 miliardi di euro e che quindi incide negativamente sulla sostenibilità del sistema salute e, più specificamente, sulla consistenza del Fondo sanitario nazionale. I fondi per la salute. Il Fondo sanitario nazionale catalizza le preoccupazioni delle associazioni pazienti, dal momento che, se il Fondo scende sotto il livello di guardia del 6,5 per cento del Pil fissato dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), come si prevede nel prossimo triennio, la regolare erogazione dei Livelli essenziali di assistenza, insieme alla disponibilità delle terapie innovative ad alto costo, rischiano di essere fortemente a rischio. Su questo preoccupante aspetto, Felice Bombaci, responsabile del Gruppo Ail pazienti leucemia mieloide cronica, (Gaplmc) rileva: “le terapie innovative, se da un lato comportano un alto costo, dall’altro consentono a sempre più persone di tornare alla vita produttiva e dunque a generare Pil. Esistono anomalie di gestione che vanno corrette: ad esempio, i fondi derivanti dal payback e dalle negoziazioni dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) per volumi sul costo di farmaci che sono incamerati dalle regioni ma spesso non ritornano al comparto sanitario”. La carenza di personale. Se la consistenza del Fondo sanitario nazionale desta comprensibili preoccupazioni sul futuro dell’assistenza medica, non di meno ne genera l’ormai annoso problema della carenza di risorse umane: mancano all’appello circa 47 mila professionisti del settore infermieristico e studi demografici indicano che fra qualche anno ampie fasce di popolazione potrebbero mancare del Medico di famiglia. Inoltre, come sottolinea Isabella Francisetti, presidente dell’Associazione malati oncologici colon-retto (Amoconlus): “la carenza di risorse umane incide in modo determinante anche nella gestione degli screening, come quello per il tumore del colon retto e, a cascata, sulla vita dei pazienti: il numero limitato di  ambulatori di gastroenterologia  che eseguono colonscopie, esame necessario per diagnosticare la presenza di eventuali neoplasie, comporta una dilatazione dei tempi  delle liste di attesa e quindi una ricaduta negativa sulla prognosi della patologia”. Carenza che si converte in carichi di lavoro esasperati per gli operatori sanitari e minore attenzione nell’interazione con il paziente. Quello della comunicazione tra medico e paziente è un aspetto importante: una ricerca italiana ha stabilito che dedicare più tempo all’ascolto dei pazienti può accrescere del 30 per cento l’efficacia di una cura, ma i pazienti sono interrotti in media dopo solo 18 secondi da quando iniziano a parlare. “La disponibilità all’ascolto e al feedback tra medico e paziente – afferma Patrizia Burdi, presidente dell’Associazione italiana per lo studio e la cura del paziente oncologico(Aiscup) – ha un impatto positivo notevole sulla qualità di vita di entrambi, come attestato ormai da numerosi studi. Una comunicazione empatica non è un dono di pochi ma una competenza che tutti possono apprendere e che può contribuire alla riduzione dei costi dell’assistenza medica: è tempo che anche in Italia diventi uno specifico insegnamento nelle scuole di medicina”. La prevenzione. Ma come intervenire per risalire la china dello squilibrio finanziario, ancora più ripida per via dell’aumento sia dell’incidenza della malattia oncologica – circa il 10 per cento in più i nuovi casi rispetto al 2010 – sia del numero di pazienti guariti, aumentato del 25 per cento negli ultimi 8 anni? La risposta, pienamente condivisa da tutte le associazioni e dagli specialisti, è il potenziamento della prevenzione primaria, cioè la diffusione di un’attitudine culturale fondata su uno stile di vita sano, che dia valore a un’alimentazione calibrata, a una attività fisica moderata ma costante e contrasti il consumo di alcol e sigarette e abitudini ormai consolidate, ma potenzialmente pericolose, come l’eccessiva esposizione al sole. Rileva Federica Ferraresi, Women against lung cancer in Europe (Walce onlus): “noi siamo schierati in prima linea per ribadire l’inequivocabile importanza della divulgazione della cultura della prevenzione a tutti i livelli, al fine di promuovere stili di vita consapevoli e contrastare la falsa informazione e il nostro movimento si sta confermando una strategia efficace per raggiungere questi obiettivi”. Una cultura della prevenzione che deve essere insegnata già in età scolare, se vogliamo contrastare la diffusione di patologie oncologiche insidiose, come il melanoma. “Efficaci iniziative di prevenzione del melanoma sono un bisogno sempre più urgente, se vogliamo contrastare la sua incidenza, addirittura raddoppiata negli ultimi 10 anni – ribadisce Monica Forchetta, presidente dell’Associazione pazienti Italia melanoma (Apaim) – una volta era una patologia che colpiva solo gli adulti, ora sono molti, troppi i giovani che si ammalano. Dobbiamo dunque partire dalle scuole, perché un bambino informato oggi è un adulto sano domani”. (MATILDE SCUDERI)