Negli ultimi anni, il sistema di valutazione universitario gestito dalla omonima 'Agenzia Nazionale di Valutazione del sistema universitario e della ricerca' (Anvur) avrebbe dovuto definire dei parametri oggettivi non solo per la valutazione delle Università, ma anche quella dei docenti, in particolare per quanto attiene all’accesso alla idoneità nazionale, prerequisito per poter accedere ad un concorso di prima o seconda fascia. Se, da una parte, offrire dei criteri oggettivi che potessero definire chi ha prodotto e chi no è apparso certamente un aspetto positivo, dall’altra, codificare secondo parametri aritmetici il valore di un docente, è moto difficile e il risultato lascia molto a desiderare. Nel corso degli anni ci siamo posti il problema di fronte a valutazioni generose, basate più sulle sensazioni che su parametri oggettivi ma, se andiamo a guardare a fondo, ora troviamo delle incongruenze che lasciano perplessi e rischiano di peggiorare la situazione, rendendola inadeguata ad una valutazione comparativa. Quali sono i parametri base dell’Anvur? L’indice H, che definisce l’impatto dei lavori scientifici prodotti dal candidato, in quanto tale indice aumenta in base al numero delle citazioni di tali lavori. Il numero delle pubblicazioni scientifiche ed il numero delle citazioni. Già così si nota che due parametri sono ridondanti (l’indice H ed il numero delle citazioni). Le commissioni possono aggiungere ulteriori criteri di valutazione, ma senza i tre parametri di base non si può accedere alla valutazione per l’idoneità. Questo però riguarda solo i settori scientifici definiti come 'bibliometrici' (perché esiste la distinzione in settori bibliometrici e settori non bibliometrici il che di per sé indica che non tutto può essere parametrato aritmeticamente). In questo secondo gruppo, non bibliometrico, l’indice H e il numero delle citazioni non compaiono e vengono presi solo in considerazione il numero dei lavori pubblicati nell’arco di tempo. Ma c’è anche un altro fattore, che inficia fortemente i parametri di valutazione Anvur: una volta veniva preso in considerazione l’impact factor della rivista su cui si pubblicava, secondo il criterio che più la rivista è letta, più difficile è pubblicarci un lavoro; ora non più; contano le citazioni, secondo il concetto che più un lavoro è citato, più è importante. Anche questo è opinabile, perché il valore delle citazioni è molto soggetto alle mode. Faccio un esempio: un collega ha pubblicato un lavoro nel 2018 su una rivista di impact factor 1.5, ed ha ricevuto 280 citazioni; un altro ha pubblicato quattro lavori, di cui uno su una rivista di impact factor 11 e le altre tra 3 e 4, ma ha ottenuto solo 27 citazioni. Nel primo caso l’indice H è aumentato di 5 punti, nel secondo di 0, perché ci vogliono circa 50 citazioni per ottenere un punto di H index. Vuol dire che il collega A è più bravo? Forse, ma molto più probabilmente vuol dire che tale collega fa parte di una comunità di studiosi attenta al suo studio, più ampia. L’altro, probabilmente fa parte di una comunità più piccola e quindi riceve meno citazioni Tutto questo non viene minimamente preso in considerazione dai parametri di valutazione. Direte: ma quando si fa una ricerca bisognerebbe che tale ricerca sia di interesse più vasto possibile; e qui non sono d’accordo. Dove sta la libertà di ricerca? Potrebbe essere che dal lavoro poco citato esca dopo qualche anno un risultato eclatante, magari per la cura di certi pazienti, mentre dal lavoro molto citato non esca nulla. A quanto fin qui espresso, va aggiunto che la valutazione è limitata agli ultimi dieci o quindici anni. Si dirà, ma è giusto, perché se ci si presenta ad un concorso, è naturale che venga valutata la produzione scientifica recente. Certamente, ma cosa avviene se i suddetti parametri vengono utilizzati senza modifiche anche per altre scelte, ad esempio quelle per il conferimento del titolo di professore emerito o professore onorario? Per questi ultimi sembra fuori luogo fare una valutazione solo degli ultimi anni, tralasciando quanto di buono (o di cattivo) sia stato fatto nell’arco della carriera. E’ antitetico al concetto di 'professore emerito', che a mio avviso dovrebbe prendere in considerazione tutta la carriera svolta, certamente dal punto di vista scientifico, ma anche didattico ed organizzativo; è proprio uno dei casi per i quali la valutazione aritmetica è fuori luogo. Il professore in questione potrebbe aver determinato lo sviluppo di una disciplina, averne guidato il progresso internazionale, aver contribuito a sviluppare le linee guida per l’applicazione ai protocolli diagnostici e terapeutici (per le discipline medico scientifiche), aver istituito corsi destinati ad aumentare la professionalità dei neolaureati nel campo lavorativo. Magari, proprio a causa dell’avanzare dell’età la produzione scientifica potrebbe essersi diretta verso argomenti meno alla moda e quindi meno citati. In definitiva, credo che differenziare la metodologia di valutazione del docente che deve assumere un ruolo dirigenziale da quella del docente che tale ruolo ha svolto anche se in un passato non recente, sia una importante modifica che andrebbe messa in cantiere.