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Olio extra-vergine, esplode la truffa: cosa portiamo in tavola (e a che prezzo)

Attilio Barbieri
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Sull’olio d’oliva europeo sta per abbattersi una nuova tempesta dei prezzi. È già accaduto in Spagna, dove le quotazioni di extravergine all’origine sono calate a gennaio del 52% rispetto allo stesso mese dello scorso anno, nonostante l’ultimo raccolto di olive nella penisola iberica non sia andato benissimo. A noi è andata meglio finora, visto che l’oro verde origine Itala, si paga 9,43 euro al chilogrammo, con una flessione di poco superiore all’1% sui dodici mesi.

All’origine dei ribassi che hanno affondato i prezzi pure in Grecia c’è l’andamento delle quotazioni in Tunisia, Paese che gode di una finestra di export a dazio zero verso la Ue per 56.700 tonnellate di extravergine. Un contingente notevole, tanto che l’80% dell’export tunisino di oro verde è ormai indirizzato verso la Ue e Tunisi continua a insistere per ottenere un aumento a 100mila tonnellate della quota esportabile a tariffa zero.

L’interesse degli imbottigliatori europei non manca. La quota a dazio zero di 56.700 tonnellate è andata esaurita già alla prima asta che ha fatto registrare una domanda 75 volte superiore, pari a 4.278.500 tonnellate, come informa Alberto Grimelli su Teatronaturale.it, vera e propria bibbia per gli addetti ai lavori del settore oleicolo. Il coefficiente di assegnazione alla prima e unica asta tunisina per il 2025 ha coperto appena l’1,3% del totale.

Ma a fronte di questi numeri, incredibilmente l’olio tunisino non soltanto non aumenta di prezzo, ma addirittura cala. Quasi del 50%. «La Tunisia dell’olio di oliva, ancor più del Portogallo», scrive Grimelli, «rischia di diventare il centro di traffici speculativi con il conseguente acuirsi di tensioni non solo sui prezzi ma anche nei rapporti bilaterali tra la Tunisia e l’Unione europea, e soprattutto la Tunisia e l’Italia».

Che a Tunisi il comparto oleicolo non funzioni a dovere è più di un’impressione, come dimostra l’ondata di arresti compiuti lo scorso mese di novembre che ha portato dietro le sbarre i vertici del gruppo Cho, principale esportatore tunisino di olio d'oliva, provocando la disgregazione della filiera olivicolo-olearia del Paese nordafricano. Con risultati disastrosi per tutti, a cominciare dagli olivicoltori tunisini che lo scorso anno vendevano l’extravergine a 8 euro al chilo e ora ne incassano meno di 4.

«Da tempo chiediamo di rivedere l’accordo fra Ue e Tunisia», spiega a Libero David Granieri, presidente di Unaprol, il più importante consorzio della produzione olivicola italiana. «Il contingente di olio tunisino a dazio zero era acquistabile da parte degli operatori europei dal primo aprile fino a ottobre, quando inizia la campagna olivicola da noi. Nel tempo», aggiunge Granieri, «la finestra è stata modificata, ampliandola fino al 31 dicembre. E questo genera una distorsione per il nostro mercato, visto che arriva quando nei nostri oliveti è in pieno svolgimento la raccolta».

Per ora a patire le conseguenze di queste importazioni sono stati spagnoli e greci. «Finora da noi la flessione all’origine è stata molto contenuta», conferma Granieri «mentre gli spagnoli per bocca di Antonio Luque Luque, presidente di Dcoop, primo player mondiale del settore, puntano il dito proprio su questo meccanismo, dicendo che qualcosa non funziona».

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