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Olio d'oliva, la guida in 12 punti per evitare fregature: attenti a cosa comprate

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Attilio Barbieri
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Mentre inspiegabilmente il prezzo dell’extravergine italiano cala anziché salire, visto che il raccolto 2024 è più scarso del raccolto 2023, la scelta consapevole dell’olio d’oliva è sempre più difficile. Ecco un decalogo aggiornato per aiutare i consumatori nella decisione che ho compilato con il contributo determinante di Nicola Di Noia, responsabile del settore olio d’oliva di Coldiretti.

1) Marca italiana non significa prodotto italiano. Semplicemente l’oleificio ha sede nel nostro Paese, ma nulla è garantito sull’origine del prodotto.

2) L’origine della materia prima deve essere indicata chiaramente in etichetta. Naturalmente bisogna leggerla.

 

3) La dichiarazione «Ue e non Ue» non significa nulla: equivale all’intera superficie terrestre. Si può desumere che quell’extravergine non provenga né da Marte e tantomeno da Giove o Saturno. Francamente un po’ pochino. Dopo le due annate disastrose del 2022 e del 2023, la produzione mondiale di olio d’oliva risale. Di quanto, precisamente, è presto per dirlo. Secondo le ultime stime di Commissione europea e Consiglio oleicolo internazionale (il Coi) la produzione 2024 di oro verde dovrebbe raggiungere 3 milioni e 100mila tonnellate. Ben al di sopra del livello ottenuto con il raccolto 2023 che si era fermato a 2 milioni e mezzo di tonnellate. Dunque le quotazioni dell’extravergine Ue e non-Ue sono destinate a calare. La legge della domanda e dell’offerta funziona così: quando sul mercato cresce la quantità di un prodotto il prezzo cala. Ma la legge del mercato non vale per l’olio italiano. La nostra produzione si fermerà quest’anno a 224mila tonnellate contro le 328mila del 2023. A tagliare i volumi dell’uliveto Italia è stata la siccità che ha colpito il Mezzogiorno. Eppure, il prezzo del nostro extravergine è in calo sulle Borse merci: a Milano del 3,2%, a Foggia del 3% e a Bari del 2%.

4) Occhio alla dichiarazione della “campagna di raccolta”. Se non compare in etichetta l’olio confezionato è una miscela di oli di due o più campagne. E dunque è olio vecchio.

5) L’analisi sensoriale è importante: annusate e assaggiate l’olio.
L’extravergine di qualità profuma di sentori vegetali freschi ed è un po’ amaro e piccante.

6) Denominazione “Condimento” e non olio extravergine di oliva: si tratta si una miscela con olio di semi.

7) Non fidatevi di immagini in etichetta che evocano l’italianità. Cercate sempre la dichiarazione d’origine, che deve comparire nel campo visivo principale, l’etichetta frontale.

8) I toponimi nella denominazione o nel marchio aziendale non garantiscono nulla. Men che meno forniscono indicazioni sull’origine della materia prima, le olive.

9) L’extravergine dev’essere commercializzato in recipienti etichettati e sigillati. Gli organismi di controllo, inclusi i corpi di polizia, devono poter verificare la tracciabilità di ogni singolo recipiente in cui è commercializzato l’olio. Un contenitore anonimo, come una tanica priva di etichettatura, è fuori legge, a prescindere dalla qualità del contenuto.

10) Al ristoranti solo bottiglie integre, etichettate e con il tappo antirabbocco. In tutti i locali pubblici, dunque anche nelle mense, in pizzeria e nella tavole calde, l’olio extravergine dev’essere messo a disposizione dei commensali in bottiglie etichettate e con il tappo antirabbocco integro.

11) I prodotti 100% made in Italy sono sempre facilmente riconoscibili. Chi utilizza soltanto materie prime “origine Italia” ha tutto l’interesse a farlo sapere perché il prodotto interamente nazionale garantisce un vantaggio competitivo. E questo vale per l’olio come per la pasta.

12) L’oro verde ha tre nemici: la luce, il calore e l’ossigeno. Limitate al minimo i travasi e conservatelo in un luogo fresco (meglio non freddo) e al riparo da fonti luminose.

 

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