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Supermercato, occhio alla spesa: le dieci grandi bufale nel carrello

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Attilio Barbieri
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Brutto periodo per la trasparenza a tavola e per i prodotti tradizionali della dieta mediterranea. In settimana è arrivata la pronuncia della Commissione europea - sotto forma di parere circostanziato- che boccia la legge ungherese sul divieto di commercializzazione della carne coltivata. Una norma molto simile a quella introdotta dal governo italiano lo scorso anno. «Nell’Unione europea - scrive l’Eurogoverno nel parere circostanziato - non è stata ancora concessa alcuna autorizzazione per nessun prodotto a base di carne ottenuto in laboratorio». E in ogni caso, puntualizza Bruxelles, la decisione ultima spetta alla Ue.

Sempre in tema di carne che si può definire “non naturale” è arrivata un’altra sonora delusione dall’Europa. Per la precisione dalla Corte Ue che all’inizio di ottobre ha bocciato la legge francese che vietava l’utilizzo delle denominazioni caratteristiche della macelleria per le imitazioni a base vegetale. Secondo i giudici di Lussemburgo i singoli Paesi dell’Unione non possono vietare autonomamente che le diciture che richiamano il mondo tradizionale della macelleria e della salumeria vengano impiegate per le alternative di origine vegetale. Dunque via libera per hamburger, polpette e salsicce fatte con cereali, piselli o fagioli.

 

Ma non è finita qui. Carne a parte il carrello della spesa è pieno di bufale e grandi delusioni che hanno origine a Bruxelles. Un buon numero riguardano l’origine in etichetta per gli alimenti. Intanto la dicitura ammessa dalla Commissione «origine Ue e non Ue», molto diffusa, significa letteralmente che l’olio o la pasta su cui compare sono fatti con materia prima che proviene dal pianeta Terra. Non da Marte, Giove o Saturno. Il massimo della trasparenza, chiaramente. Poi c’è la cosiddetta «origine non preferenziale», prevista dal Codice doganale comunitario, in base alla quale un alimento assume l’origine del Paese in cui ha subito l’ultima trasformazione sostanziale. Ad esempio una coscia di suino tedesco stagionata da noi diventa “made in Italy”.

Per restare in tema di origine c’è da registrare il «no» di Commissione e Consiglio Ue all’obbligo di dichiararla sulle Indicazioni geografiche protette (Igp), ad esempio la Bresaola della Valtellina o la Mortadella di Bologna. Senza contare che i salumi porzionati nei punti vendita sono esentati comunque dal dichiarare la provenienza dell’ingrediente primario. E poi c’è l’incognita legata alla revisione dell’etichettatura armonizzata, tuttora aperta a Bruxelles, con il rischio che sparisca il vincolo di dichiarare la provenienza degli alimenti per i quali è divenuta obbligatoria in forza di decreti italiani. Come nei casi di pasta, riso, formaggi e salumi.

 

Ultime grandi delusioni, questa volta digitali, il codice Qr e la blockchain. Il primo non si è mai diffuso, mentre si è scoperto che la seconda era inapplicabile ai prodotti di largo consumo. In tema di fregature belle e buone bisogna segnalare la norma (tutta italiana) in forza della quale i similari dei grandi risi italiani come Carnaroli e Arborio possono essere etichettati con lo stesso nome della varietà in purezza.

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