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Giorgio Palù (Aifa): "Vino cancerogeno? Non è scienza"

Pietro Senaldi
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«La salute è una questione olistica, dipende dalla genetica, dall’ambiente, dalla nutrizione, dagli stili di vita, dalla socialità, dalla storia personale. E la medicina non è propriamente una scienza esatta, anche quando adotta il metodo scientifico: procede per tentativi ed errori e si basa su studi clinici che quasi sempre abbisognano di conferme. Perfino le scienze esatte come la fisica, la chimica, la matematica enunciano teorie prima che postulati (la relatività, le onde gravitazionali, la struttura della materia)».

Cose vuole dire, professore?
«Che si fa un gran parlare di scienza medica senza riconoscere i limiti intrinsechi e i valori di certi studi osservazionali. Lo abbiamo visto con il Covid, con le suggestioni predicate negli ambienti no-vax e con certe affermazioni sugli effetti dannosi del vino».


Ha visto che l’Irlanda ha ottenuto il via libera dall’Unione Europea per mettere le etichette allarmistiche sulle bottiglie di vino, come già sui pacchetti di sigarette?
«E con la birra Irlandese come la mettiamo? Alcol per alcol....? Mi pare ci stiamo suicidando di politicamente corretto, inseguiamo totem e pregiudizi individuali che ci creiamo senza fondamenti scientifici e sui quali poi ostinatamente ci riconosciamo rinnegando perfino la nostra storia e le nostre tradizioni. Dimentichi dei doveri, sacrifichiamo diritti universali a diritti individuali, che poi diventano emblemi di discriminazioni contro cui ergere barriere; ma non mi faccia fare il filosofo».

Torniamo al vino e al virus...
«Sì, in entrambi i casi si mettono in discussione consuetudini pratiche che ci hanno accompagnato nella vita o che ci identificano: è inequivocabilmente provato da dati di mortalità che i vaccini hanno salvato almeno venti milioni di vite nel mondo».

Si dice che c’erano i farmaci per curare il Covid senza bisogno dell’iniezione...
«A parte che prevenire è meglio che curare, gli unici farmaci antivirali specifici in grado di contrastare l’infezione da Sars-CoV-2 sono stati confermati essere il Remdesivir, il Paxlovid e gli anticorpi monoclonali, anche se questi si sono rivelati poi poco attivi contro le più recenti sottovarianti. Va però rimarcato come essi non sarebbero mai stati disponibili e utilizzabili su larga scala. Del tutto inefficaci invece composti come idrossiclorochina e ivermectina. Nessun altro farmaco, cortisonici, eparina, antinfiammatori, pure se estremamente utile per mitigare gli effetti secondari e i sintomi a valle dell’infezione, talvolta assai gravi come le trombosi, avrebbe, da solo o in combinazione, ottenuto i risultati del vaccino».

Presidente dell’Agenzia Italiana del Farmaco, il professor Giorgio Palù, emerito di Microbiologia e Virologia all’Università di Padova, prende le distanze dalle speculazioni sul Covid e da quanti malati di protagonismo subordinano competenza e professionalità a visibilità, ambizione e promozione personale. È capitato con la pandemia, rischia di accadere adesso con l’ultima crociata contro il vino. 

«Combattere il vino è un po’ come disconoscere la nostra storia, le basi della nostra cultura artistica, letteraria, musicale perfino quell’identità religiosa per cui il vino si trasforma in momento di comunanza umana e in simbolo di trascendenza divina. Noè sul monte Ararat piantò le viti; con le barbatelle i romani hanno civilizzato il mondo, visto che i campi dove coltivarle erano il premio ai legionari valorosi. Che il vino possa nuocere alla salute è una questione di dosi. Esso contiene, oltre all’alcol, alcuni preziosi elementi nutrizionali dotati di effetti farmaceutici benefici per esempio anti-ossidanti, antonciani, fenoli, resveratrolo, vitamine che proteggono dai radicali liberi, le molecole che generano infiammazione e a lungo termine il cancro. Alcuni studi sostengono che dopo i trent’anni un paio di bicchieri di rosso al giorno fanno bene: guardiamo al paradosso francese, bevono e mangiano formaggi eppure campano a lungo. Paracelso (Teofrasto von Hohenheim), ai primi del 500, diceva che tutte le cose contengono veleno, l’effetto nocivo dipende solo dalla quantità. Il vivere sano impone moderazione in tutte le nostre azioni. In medio stat virtus. Gli studi che attaccano il vino, giudicandolo letale anche in piccole quantità, sono osservazionali, non hanno la dignità scientifica di studi controllati, prescindono, causa pregiudizi di selezione, da elementi cruciali come lo stile di vita, l’alimentazione, il fumo, la massa corporea, la predisposizione genetica. Necessitano anni perché il cancro insorga. Stiamo attenti quando lanciamo strali in nome della scienza, la battaglia al vino mi ricorda quella ai vaccini».

Come mai allora è così certo dell’efficacia dirimente del vaccino nella lotta al Covid?
«Perché ha fermato la diffusione della pandemia e ha significativamente ridotto le forme gravi di malattia e la letalità conseguente; per di più l’immunità indotta dai vaccini ha costretto il virus ad evolvere verso una forma più contagiosa ma molto meno virulenta».

Ma con il vaccino anti-Covid ci si ammalava lo stesso, a differenza di quello contro il morbillo, la parotite, la rosolia...
«La spiegazione sta nel fatto che il virus che causa il Covid-19, in particolare le ultime sottovarianti di omicron, ha un’incubazione molto breve, non ha una fase viremica come i virus a diffusione respiratoria sopra citati e si arresta alle prime vie aeree non dando tempo agli anticorpi di formarsi e di proteggerci a livello mucosale. Per questo era sbagliato pensare che i vaccini anti-Covid conferissero una immunità di gregge (protezione anche dei non vaccinati)».

Errori ne abbiamo fatti durante la pandemia?
«E come potevamo non farli, ci siamo trovati di fronte a un coronavirus geneticamente diverso da quelli della Sars e della Mers che l’avevano preceduto e che causava una nuova malattia. L’importante è non ripeterli ed essere preparati alle nuove minacce pandemiche».

Cosa dobbiamo tenere a mente?
«Innanzi tutto, dovremmo dotarci di un piano pandemico, che non avevamo. È vero che gli Usa e la Gran Bretagna, che pure ne erano dotati, hanno avuto più morti di noi, ma questa non è una buona scusa per rimanere senza».

Cos’altro?
«La Costituzione prevede che, in caso di calamità, il coordinamento delle operazioni sia in capo allo Stato Centrale. Durante il Covid, invece, le Regioni hanno fatto ciascuna di testa sua; molte anche meglio di altre ma il mancato coordinamento è stato inizialmente un problema. Abbiamo però reagito con un joint procurement europeo per gli acquisti di farmaci e vaccini e con un commissario straordinario con grande esperienza di logistica che ha finalmente coordinato in maniera estremamente efficace le operazioni sul campo».

Cosa suggerisce, professore per il futuro?
«Acceleriamo la costruzione di un hub anti-pandemico nazionale e creiamo le condizioni perché l’industria italiana produca nuovi farmaci e vaccini. Facciamo interagire il pubblico con le aziende private e le Università e creiamo gruppi di lavoro che coordinino studi innovativi e cooperativi su larga scala». Una parte della politica è fortemente contraria alla commistione tra pubblico e privato nella sanità... «Eppure è indispensabile, perché sempre più spesso è il privato che fa ricerca e arriva ai risultati. Lo Stato dovrebbe concentrarsi sulla produzione di principi attivi reperibili con difficoltà e di quei farmaci indispensabili che per il loro basso costo i privati non hanno più convenienza a fabbricare. In questa prospettiva andrebbe fortemente incoraggiato l’impiego dei partenariati pubblico-privati, non a caso rilanciati dal nuovo codice dei contratti recentemente entrato in vigore. Questa scelta, nella prospettiva di una sostanziale visione collaborativa, sarebbe in grado di bilanciare entrambe le posizioni, nell’ottica della tutela della salute in un sistema universalistico che necessariamente solo la pubblica amministrazione è in grado di assicurare». 

 

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