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Pasta, costi alle stelle. Non solo le bollette, quanto pagheremo un chilo di spaghetti

Attilio Barbieri
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Aumenta tutto. L'energia è carissima. Scaldarsi, spostarsi, fare acquisti sta diventando un affare da ricchi. Ma non tutti gli aumenti che si sono verificati a monte delle catene produttive si sono scaricati sul portafogli dei consumatori. Secondo l'ultima rilevazione dell'Istat, gennaio 2022, i costi sostenuti dalle famiglie per abitazione, acqua, elettricità e combustibili sono cresciuti in un anno del 22,6%, a fronte di un'inflazione del 4,8%. E sempre del 4,8% sono cresciuti i prezzi dei prodotti ad alta frequenza di acquisto. Quelli che entrano più spesso nel carrello della spesa degli italiani. L'inflazione degli alimentari censita dall'Istat, sempre a gennaio, è un po' più bassa: +3,8%. Ma se il prezzo di cibi e bevande non è esploso, si deve al fatto che produttori e confezionatori hanno ridotto i margini. O addirittura stanno vendendo alla grande distribuzione in perdita. È il caso ad esempio della pasta, uno dei cibi più diffusi nella dieta degli italiani. Se un anno fa produrre un chilogrammo di spaghetti costava mediamente un euro, oggi i pastai spendono esattamente il 50% in più. Vale a dire un euro e mezzo.

 

 

L'ho verificato facendomi raccontare da alcuni di loro quanto siano cresciute le diverse voci che compongono il costo industriale della pasta. Il frumento duro, ad esempio, è raddoppiato: da 300 a 600 euro la tonnellata, complice il disastroso raccolto in Canada. Il costo del cellophane per la confezione è cresciuto del 30%, quella di carta e cartone ancora di più. Gas ed elettricità del 300%. Poi c'è il trasporto del prodotto finito. Ma i pastai non sono riusciti a scaricare questi aumenti sul prezzo di vendita. Molti di loro stanno vendendo in perdita. Il chilo di pasta che a loro viene a costare un euro e mezzo lo vendono alle catene a 1,40. E poi ci sono le promozioni. Con sconti fino al 50% sul prezzo al bancone. In quel caso chi fa la pasta arriva a rimetterci anche 60-70 centesimi al chilo.

 

 

Si salva chi opera nel segmento delle paste speciali e Igp (Indicazione geografica protetta). Naturalmente la situazione non è procrastinabile a lungo. E presto i consumatori vedranno crescere i cartellini di maccheroni, spaghetti, fusilli e rigatoni. Ma se gli industriali del settore piangono gli agricoltori della filiera non ridono certamente. Certo, i valori del grano duro "spot" sono cresciuti, ma per molti cerealicoltori gli effetti sono nulli, visto che hanno sottoscritto contratti di fornitura pluriennali. Benedetti in una situazione di normalità del mercato, ora impediscono loro di intercettare se non in parte la crescita generalizzata dei prezzi. Nel frattempo scontano gli aumenti sui carburanti, gas ed energia elettrica. Anche se le loro attività non sono energivore come quelle dell'industria di trasformazione, il carovita non li risparmia certo. 

 

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