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Latte vegetale taroccato, ecco cosa arriva sulle nostre tavole: la colpa dell'Europa

Attilio Barbieri
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I succedanei di origine vegetale del latte non potranno essere etichettati con la medesima denominazione. Dunque niente «latte di soia» e neppure «latte di piselli». Ma questa è l'unica buona notizia in arrivo dall'Europa. In pratica non cambia nulla rispetto al recente passato, visto che resta in vigore la norma compresa nel Regolamento Ue 1308 del 2013 in forza della quale le bevande vegetali che scimmiottano l'alimento bianco non possono essere etichettate come «latte». 

 

Certo, la Commissione europea guidata da Ursula von der Leyen puntava ad eliminare anche il vincolo esistente, per dare il via libera ad esempio al «latte di piselli» che la Nestlé sta lanciando in grande stile in tutta Europa. Ma si è persa un'occasione importante per fare chiarezza sui mercati di consumo. La malefatta si è consumata attorno all'emendamento numero 171 alla proposta di modifica del Regolamento 1308 che introduceva norme stringenti sulle pratiche commerciali. 

In particolare la denominazione latte, sarebbe stata protetta anche «da qualsiasi uso commerciale, diretto o indiretto», pure «in relazione a prodotti comparabili o prodotti presentati come sostituibili che non rispettano la corrispondente definizione». Il caso classico è appunto quello dei succedanei vegetali. Di più, sarebbe scattata una ulteriore protezione da «qualsiasi usurpazione, imitazione o evocazione, anche se la composizione o la natura vera del prodotto è indicata o accompagnata da espressioni quali "genere", "tipo", "metodo", "alla maniera", "imitazione", "gusto", "succedaneo", "stile" o altre espressioni simili. L'emendamento cassato intendeva inoltre attivare una protezione da «qualsiasi altra indicazione o pratica commerciale che possa indurre in errore il consumatore sulla vera natura o composizione del prodotto». 

Ad esempio la pubblicità comparativa, che metta a confronto il vero latte animale con le imitazioni vegetali. A espungere l'emendamento 171 è stato l'intervento decisivo del Consiglio Agricoltura della Ue, composto dai ministri agricoli dei Ventisette Paesi dell'Unione. Così, alla fine, sono possibili tutte le fattispecie di pratiche commerciali che la nuova norma si proponeva di vietare. E francamente fatico a capire i commenti soddisfatti una parte dell'industria di settore. Certo, il latte ha scongiurato il via libera ai tarocchi vegetali che la Commissione ha cercato di far passare tra le pieghe del programma Farm to Fork ma si è persa un'occasione importante per introdurre finalmente chiarezza in un mercato, quello delle imitazioni vegetali, che rischia di mettere in crisi importanti comparti dell'agroalimentare made in Italy, il lattiero caseario ma anche la carne e i salumi. E la posta in gioco è alta. Non si arrestano i rincari delle materie prime. 

 

Anche quelle destinate alle filiere animali si segnalano per prezzi in aumento di oltre il 70%. È il caso ad esempio di mais e soia che entrano nell'alimentazione di bovini e pollame. Il mais per la prima volta da otto anni a questa parte ha infranto la barriera psicologica dei 6 dollari per bushel (poco più di 27 chili) al Chicago Board of Trade. E la soia non è da meno: in settimana ha raggiunto i livelli del 2014. Gli allevatori a lungo hanno assorbito i rincari ma ora sono nell'impossibilità di farlo. Nei prossimi mesi sarà inevitabile un rialzo generalizzato dei prezzi per la carne di manzo, per i salumi e il pollame.

 

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