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Wurstel e cibi "ultraprocessati", lo studio che cambierà le vostre abitudini: salute, ciò che non dicono

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Si parla molto di alimenti ultraprocessati, questo perché sono sempre più diffusi e perché parecchi studi ne mettono in evidenza le pericolose correlazioni con alcune malattie. Tra gli ultraprocessati, il "re" è per certo il wurstel. Ma come ricorda ilfattoalimentare.it, non esiste una definizione del tutto condivisa per questi alimenti.  Anche tra i ricercatori, ciascuno tende a identificare questo termine con qualcosa di diverso, a seconda del suo punto di vista, o del motivo per cui si occupa del tema.

 

Ed è quanto emerge da uno studio condotto ai ricercatori dell’Università del Surrey, in Gran Bretagna, e appena pubblicato su Trends in Food Science and Technology. Studio che prende in esame oltre cento ricerche che di occupano di alimenti ultraprocessati e salute. Risultato? Non esiste un'unica definizione, appunto. Si può però ricondurre quel tipo di cibo a 4 categorie, in rifermento  a quanto un certo cibo è stato sottoposto a lavorazione, alla natura della stessa, al tipo di luogo dove è stata ottenuta (aziende) e allo scopo per cui è stata effettuata (solo cosmetico o sostanziale), cioè a parametri molto lontani gli uni dagli altri.

Dunque, ilfattoalimentare.it sottolinea come lo studio metta in luce clamorose incongruenze: per esempio, quasi nessuno include nei cibi ultraprocessati quelli preparati in casa, come se la preparazione domestica fosse di per sé salutare. 

 

Lo studio conclude proponendo una via d'uscita, una soluzione. Che sarebbe adottare  i sistemi già oggi più condivisi a livello internazionale e, soprattutto, più facili da utilizzare e da comprendere quali, per esempio, quello delle etichette Nutri- Score, costituito da sole 5 lettere unite ai colori che attribuiscono un punteggi relativi alla salubrità di un certo cibo in base a quanto ormai dimostrato dalla scienza, conclude ilfattoalimentare.it.

 

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