Il dolore rende unico l'uomo rispetto ai robot

I tanti giovani alla via Crucis, la conferma di un messaggio forte e le riflessioni sui tempi che corrono
di Gianluigi Paragonedomenica 20 aprile 2025
Il dolore rende unico l'uomo rispetto ai robot
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C’erano tanti giovani alla via Crucis celebrata al Colosseo, a conferma che quando c’è un messaggio forte, radicale, essi ci sono. E nulla è più potente della Passione, quel calvario che misura l’esperienza di Gesù “che si fa uomo come noi”. Dunque siamo sempre lì, a girare attorno alla grande domanda su cui ci misuriamo pur partendo da latitudini culturali diverse: a che punto è l’umanità?

Quale “noi” siamo a questo punto della storia? Che uomini e donne siamo diventati? Vedere tanti giovani, ribadisco, che si scomodano per mettersi scomodi, che convergono per rimescolarsi, che condividono in un canone che non è quello dei social, è un segno di speranza. Tanto più se pensiamo che una delle fascinazioni del contemporaneo è l’evoluzione tecnologica e digitale. È quel mito della perfezione sottinteso nelle formule della modernità. Papa Francesco ha affrontato anche questa curva: l’uomo e la macchina. La curva è laddove Gesù cade per la seconda volta. «Cadere e rialzarsi; cadere e ancora rialzarsi. Così ci hai insegnato a leggere, Gesù, l’avventura della vita umana.

Umana perché aperta. Alle macchine noi non consentiamo di sbagliare: le pretendiamo perfette. Le persone invece tentennano, si distraggono, si perdono. Eppure, conoscono la gioia: quella dei nuovi inizi, quella delle rinascite». Nell’epopea della macchina, dell’intelligenza artificiale, dell’algoritmo e del robot, ecco il racconto umanissimo e umilissimo dell’uomo che cade e ricade. L’uomo che soffre. Che ha bisogno di qualcuno che condivida la Croce.

L’intelligenza artificiale potrà toccare il massimo della perfezione, anzi dovrà (!) arrivare al massimo della perfezione, non potrà vivere il senso dell’imperfezione, del cadere e del rialzarsi, dell’errore, del peccato e del Perdono. C’è l’epopea della perfezione ma anche l’epica di chi arriva con le sue ammaccature, i suoi fallimenti. La perfezione è la sfida che incanta la modernità, per questo raccoglie una montagna di soldi; l’imperfezione invece si addensa con ciò che la macchina perfetta ambisce a togliere di mezzo. Cerchiamo le macchine per non fare fatica, per essere all’altezza, per arrivare primi e non perdere tempo. Se ci fermiamo per prendere fiato abbiamo paura di quel “vuoto” perché non ritroviamo punti di riferimento. Le nostre identità.

Ancora dalle riflessioni di Papa Francesco: «Gli umani non vengono alla luce meccanicamente, ma artigianalmente: siamo pezzi unici, intreccio di grazia e di responsabilità. Gesù, ti sei fatto uno di noi; non hai temuto di inciampare e di cadere. Chi ne prova imbarazzo, chi ostenta infallibilità, chi nasconde le proprie cadute e non perdona quelle altrui rinnega la via che tu hai scelto. (...) Disumana è l’economia in cui novantanove vale più di uno. Eppure, abbiamo costruito un mondo che funziona così: un mondo di calcoli e algoritmi, di logiche fredde e interessi implacabili. La legge della tua casa, economia divina, è un’altra».

Ci sono possibilità di riscatto nelle cadute, c’è una economia nella imperfezione, c’è ancora una centralità nelle donne e negli uomini: confesso che, soprattutto nell’anno del Giubileo, speravo che anche la Chiesa riflettesse sull’idea di un progresso che rischia di scambiare il digitale con un satanico Dio-gitale. Non ho paura della modernità e del progresso tecnologico, ho paura che ancora una volta cadiamo nella tentazioni di “pensarci” come il Creatore; demiurghi di un nuovo essere vivente, sia esso algoritmo o robot. La tendenza di andare verso il transumano, verso l’uomo-macchina, non è paranoia di ottusi conservatori magari anche un po’ complottisti, è piuttosto una frontiera che attrae investimenti. Non condivido l’idea di un progresso che tende a espellere l’uomo a favore dell’umanoide, degli umani che diventano “prodotto”. La sofferenza rafforza la nostra esistenza e, per i credenti, l’esperienza umana di Gesù lo testimonia una volta di più.